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Galizia, la perizia punta sull’arma, una Beretta calibro nove

Cosenza

Galizia, la perizia punta sull’arma, una Beretta calibro nove

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Il teste Fabio Falcone, commissario capo della mobile di Cosenza che ha risposto alle domande del pubblico ministero. «Il 31 ottobre 2016 abbiamo perquisito casa di Morena Rubino prelevata a Cassano. Ha assistito il fratello di Morena e successivamente il papà di Luigi chiamato Franco. Successivamente insieme ad altri due investigatori siamo andati a effettuare un sopralluogo al cimitero in quanto non ero presente alle prime fasi investigative e, subito dopo abbiamo raggiunto l’autovettura in piazza largo Santa Maria, già individuata il giorno stesso dell’omicidio alle 17:13, tramite un Gps che era installato sull’autovettura precedentemente per via di un altro procedimento penale della Dda in riferimento al ritrovamento dell’arsenale nell’aprile del 2016, nel magazzino in uso al fratello Damiano Galizia, poi rimasto ucciso per mano di Francesco Attanasio. L’ambientale da allora non era stato poi rimosso.

Avevamo inviato la mattina stessa due investigatori a controllare e monitorare la situazione. Noi lo abbiamo letto sul sistema la mattina del 31 ottobre alle 8.05 in largo Santa Maria, un parcheggio su viale Ionio, vicinissimo al santuario della Madonna delle Grazie. Gli investigatori al ritorno hanno comunicato che il finestrino lato guida era completamente aperto e le chiavi erano inserite nel quadro. La speranza, per noi, era che nell’arco della giornata trovassimo Luigi Galizia. Premetto che durante la perquisizione effettuata a casa di Morena Rubino avevamo detto al padre di Luigi Galizia “dite a vostro figlio di venire alla polizia”. Siamo stati nell’abitazione di Morena posta su tre livelli nella speranza di trovare l’arma. L’abitazione è molto vicino al cimitero. Dopo la perquisizione nel pomeriggio siamo andati sul posto in cui il Gps ci segnalava la macchina che effettivamente abbiamo ritrovato. Era l’unica macchina presente nel parcheggio, vicino solo ad un carrettino. Noi andavamo e venivamo dal veicolo per non destare sospetti. La nostra speranza è che l’auto venisse riutilizzata anche perché non era sotto sequestro da parte della Procura.

Solo verso le 19 di sera o comunque in quella fascia d’orario decidiamo di informare i familiari del rinvenimento dell’auto di Luigi Galizia. Sul posto intorno alle 19:55 si presentano il fratello di Luigi, il padre e lo zio. Sul sedile posteriore c’erano degli indumenti, un giubbotto di colore blu, un cappellino con la scritta Firenze e una scatola bianca. Quando sono arrivati i familiari abbiamo fatto notare al padre il finestrino e le chiavi inserite nel quadro. Franco, così lo chiamano, ha risposto “mio figlio è solito lasciare le chiavi inserite”. Poi quando abbiamo chiesto di aprire il cofano per capire se all’interno potesse esserci qualcosa il fratello di Luigi, riferendosi al precedente omicidio del fratello Damiano ha risposto “noi ci siamo già passati””.

Il commissario capo parla poi degli indumenti ritrovati e delle foto scattate da uno dei poliziotti in via ufficiosa, senza far capire ai familiari che stessero immortalando quei capi. Un paio di scarpe da tennis blu con le strisce viola e bianche, un cappello con la scritta Firenze, un giubbotto leggero blu. Ogni scatto in realtà immortala una diversa sequenza come per esempio nel caso delle scarpe: una foto riprende le scarpe in una posizione, la successiva in un’altra. La scatola all’arrivo dei familiari risultava essere chiusa e posta nella parte posteriore del sedile. Queste e altre incongruenze sono state incalzate dalla difesa, in particolare dall’avvocato Francesco Boccia che ha chiesto più volte come mai le scarpe nelle foto avessero posizioni diverse.

L’avvocato Cesare Badolato, co-difensore per l’imputato Luigi Galizia, si è soffermato sull’attivazione del Gps immesso nell’auto precedentemente, in riferimento al ritrovamento delle armi nel box in uso al fratello Damiano nell’aprile del 2016 e allo stato di preoccupazione in cui versava la famiglia. Anche il presidente della Corte d’Assise ha posto qualche domanda al teste. Il commissario Capo Falcone racconta ancora di una intercettazione in cui si sentono discorrere Luigi Galizia e Morena successivamente al sequestro da parte dei carabinieri dell’Alfa 156 in cui racconta alla cognata che i militari gli avevano comunicato di presentarsi munito di patente per ritirare la macchina, ma di fatto non era in possesso della patente ma solo del passaporto. Al consiglio della ragazza di sporgere denuncia di smarrimento, il giovane avrebbe confessato di averla buttata. Il pubblico ministero ha poi chiesto al commissario capo se lui insieme agli investigatori se, prima di quel giorno in cui entrarono in contratto con l’auto del Galizia avessero sparato per via delle prove stub effettuate dal consulente. Il poliziotto ha dichiarato che tutti non sparavano da tempo. Sentiti poi gli altri due operatori di polizia giudiziaria che hanno svolto le indagini sempre sulle foto e sul ritrovamento della macchina, degli indumenti e delle fotografie. Ognuno ha raccontato la propria versione dei fatti, ripetendo che gli scatti furono fatti ufficiosamente mentre i familiari mostravano gli indumenti

 

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