Cosenza
Cosenza, muore ad otto anni di leucemia. Il rianimatore si rifiuta di intubarlo
 
																								
												
												
											Ricoverato in pediatria, all’Annunziata di Cosenza, le sue condizioni si aggravano. Ha bisogno di essere intubato, ma il medico rianimatore di turno si rifiuta. Un’agonia che in 10 ore lo porta alla sua morte.
COSENZA – “Zia, che sta succedendo? Perché gridano?”; “Zia aiutami, non riesco a respirare! Zia perché gridano? Cosa mi sta succedendo?”. Cosciente, nelle ultime ore di vita, muore ad otto anni in un piccolo letto d’ospedale, all’Annunziata di Cosenza, affetto da leucemia. Il medico rianimatore non ha voluto intubarlo. Forse poteva salvarsi, forse no. Questo è il dubbio che attanaglia a tre anni dalla sua morte, i giovani genitori poco più che 40enni. Un triste caso finito in tribunale con una vittima, o forse tre, il bambino e i genitori, ed un imputato, F.S, medico rianimatore dell’Annunziata di Cosenza è accusato di omicidio colposo, morte ed omissione di soccorso. Il processo, in fase dibattimentale ha visto sul banco dei teste la madre, in un commovente racconto, tra le lacrime e i ricordi; la zia in una testimonianza toccante e Gaetano, il papà di un piccolo degente, uno dei testimoni del rifiuto secco da parte del medico rianimatore di intubare il bambino: una probabilità su un milione di salvarlo a cui i genitori non si erano opposti.
Una storia che vede una lotta tra medici, quelli del reparto di pediatria che si oppongono alla decisione del rianimatore il quale non esegue neanche la disposizione impartita dal responsabile dell’unità di rianimazione. Un ‘no’ secco che non ha voluto mettere neanche nero su bianco “io non scrivo un cazzo”. Ai genitori diede una serie di spiegazioni: che mancava la sala rianimazione pediatrica, che non poteva intubare perché il cuore era grosso e poteva morire, che se la manovra riusciva potevano esserci conseguenze visto il soggetto immunodepresso. In realtà i genitori avevano dato il consenso a fare il possibile; in realtà la sala operatoria non era un problema. La verità per i genitori oggi, è vivere con il dubbio che il figlio si sarebbe potuto salvare se il rianimatore avesse provato ad intubarlo. Le discussioni per farlo ragionare, le ore che trascorrevano inesorabili, reperire un altro rianimatore, hanno portato alla morte certa del bambino. I genitori costituitisi parte civile sono rappresentati dal legale Gaetano Monte
Il racconto della madre
Ha risposto alle domande del pubblico ministero Giuseppe Visconti ripercorrendo quelle ultime ore tra il 20 e il 21 agosto del 2014 nel reparto di pediatria dell’ospedale civile dell’Annunziata di Cosenza. «Al bambino, il primario del reparto di pediatria dell’ospedale dell’Annunziata, Domenico Sperlì, diagnosticò una leucemia del tipo b, in uno stadio abbastanza avanzata. Una situazione complicata. Abbiamo chiesto al primario se fossero in grado di curare mio figlio. Il dottore rispose che i protocolli erano quelli e sarebbero stati applicati in qualsiasi ospedale. Abbiamo deciso con mio marito di rimanere all’ospedale di Cosenza – spiega la mamma del bambino-. Mio figlio doveva essere sottoposto a due blocchi. Per ogni blocco erano previsti tre cicli di chemioterapia. Nell’agosto del 2014, il 4, 5 agosto, eravamo giunti al quinto ciclo di terapia. Il 20 agosto mio figlio avverte un dolore all’occhio sinistro. I medici lo sottopongono ad una risonanza per vedere se ci fosse una lesione a livello cerebrale. Nel pomeriggio il bimbo ha riposato tranquillamente. Quella sera la dottoressa in reparto visitò il bambino in modo abbastanza scrupoloso. Aveva notato che il bambino aveva qualcosa che non andava. Dopo mezz’ora è tornata nella stanza e mi ha chiesto di seguirla in infermeria. Poco dopo ci ha raggiunto mio marito. “La situazione di Mario sta precipitando” ha detto la dottoressa. “Ma come sta precipitando”, abbiamo risposto noi – “i valori si stanno anche rialzando”. La dottoressa ha spiegato che aveva avvertito che la circolazione del sangue non andava; la saturazione dell’ossigeno era iniziata a scendere dopo le 11 di sera. La dottoressa ci ha informato che avrebbe chiesto una consulenza con il rianimatore. Il medico rianimatore F.S. arrivato in stanza e al bambino “non l’ha toccato proprio, non si è avvicinato…nulla!”. Ha detto “facciamo una radiografia toracica”. Nel frattempo il bambino stava peggiorando. Nella stanza insieme al bambino eravamo presenti io, mio marito e la dottoressa e l’infermiera che litigò animatamente. Il bambino capiva tutto, era abbastanza cosciente. Il medico alla fine si è rifiutato di intubare mio figlio.
 
L’esito della radiologia e il no del medico rianimatore “Io non vi firmo un cazzo”
Dopo la radiografia al torace, la dottoressa discute con il collega della rianimazione: il bambino aveva necessità di essere intubato. Quando siamo usciti dal reparto di radiologia il rianimatore ci comunica che non erano in grado di intervenire perché era necessaria una rianimazione pediatrica. “Allora lo spostiamo in una struttura idonea” abbiamo detto alla dottoressa. Quest’ultima ha risposto “Noi abbiamo tutto, siamo in grado di affrontare qualsiasi situazione”. “Allora fate tutto il necessario” abbiamo detto. La dottoressa dopo la nostra autorizzazione ha comunicato al rianimatore che potevano proseguire ma il medico ha continuato a rifiutarsi, “si è impuntato, non lo so il perché”.
La madre del bambino alla domanda del pubblico ministero sul momento dell’avvenuta discussione ha precisato “la discussione è avvenuta dopo l’esame radiologico. Lui nella stanza non ha fatto niente, per lui mio figlio era già morto”. Il bambino non riusciva più a respirare e il medico di pediatria continuava a dire al rianimatore che doveva intubarlo, ma quest’ultimo continuava a rispondere di no, che non andava intubato. Il motivo del rifiuto non lo ricordo. Sempre la dottoressa durante la discussione ha chiesto al rianimatore di metterlo per iscritto che non voleva intubarlo e lui ha risposto “Io non vi firmo un cazzo”!
L’arrivo del primario Sperlì, il cardiologo e un nuovo rianimatore “La sala di rianimazione pediatrica non esiste, è unica”
Nel frattempo la situazione era peggiorata. Arriva il primario del reparto di Pediatria, il dottore Sperlì, …dovrebbero essere tutti come lui, umani – sottolinea la madre del bambino! Visita il bambino “Tranquillo, adesso tutto passa”. Ha parlato con me e mio marito, sapeva già tutto. Io avevo chiesto l’intervento del primario, vista la situazione. Il primario ci disse: “La situazione si è aggravata, proviamo a fare di tutto”. Poi ci domanda: “Ma come mai non volevate intubare il bambino?”. Noi abbiamo risposto “è stato il medico rianimatore” raccontando della sala di rianimazione pediatrica. Sperlì ci ha risposto “Questa è una vera cretinata. La sala rianimazione pediatrica non esiste, è unica. Giacché c’è la neonatologia riescono ad affrontare qualsiasi necessità”. Io e mio marito abbiamo risposto “allora fatelo”
A questo punto del racconto il pubblico ministero Visconti ferma il teste e chiede di ripeter meglio il passaggio in cui i genitori avrebbero detto ai medici di non intubare. “Abbiamo detto a Sperlì che ci avevano detto che non vi era sala di rianimazione pediatrica e tale manovra poteva provocare la morte. Se il bambino poteva salvarsi con quella manovra dovevano farlo. Noi non abbiamo mai detto al medico rianimatore di non intubare nostro figlio perchè se andava fatta dovevano fare l’impossibile anche se poi sarebbe sopravvenuta la morte. Oggi a me e a mio marito rimane il dubbio che mio figlio poteva salvarsi ed è morto per questa manovra che non è stata fatta.
Dopo avere parlato con il dottore Sperlì è arrivato il cardiologo e ha fatto un eco cuore. Ha detto che la situazione era grave, il bambino non stava reagendo. Dopo il cardiologo è entrata nella stanza una dottoressa con una valigetta, suppongo un rianimatore. Ma per quanto hanno fatto, il bambino non ce l ha fatta. Non so se hanno fatto o meno la manovra, c’hanno fatto uscire dalla stanza. La teste è stata sentita dalla difesa dell’imputato. Tra le domande poste la donna ha spiegato che il medico rianimatore appena entrato nella stanza ha chiesto subito di eseguire una radiografia; in quella prima fase non hanno parlato davanti alla teste di problematiche cardiache. “Forse – aggiunge la donna – tra di loro”. Continua raccontando che appena usciti dal reparto di radiologia il medico rianimatore ha riferito che il referto evidenziava delle problematiche cardiache e fare la manovra in quella condizione poteva portare alla morte. Anche per quanto riguarda il trasferimento del piccolo in un’altra struttura il medico rianimatore avrebbe detto ai genitori che “era pericoloso, perché poteva prendere delle infezioni”
 
                         
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
		
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