Cultura & Spettacolo
Pausa di riflessione – Il politicamente corretto tra teoria e sostanza
Oggi è molto in voga l’uso del politicamente corretto, o meglio l’intimazione al suo uso, pena la condanna senza appello da parte di certi “benpensanti”.
Il politicamente corretto viene chiamato in causa, in ogni occasione, da chi pretende di ergersi a paladino di una qualsiasi minoranza. Ma è fin troppo evidente che il suo uso è stato, e continua ad essere, più di facciata che di sostanza. Negli ultimi anni, in questo ambito, alla teoria non ha quasi mai corrisposto la pratica, così si è arrivati a cambiare le parole per designare alcune categorie di persone svantaggiate, senza che ciò abbia dato ad esse un aiuto effettivo. E’ accaduto, ad esempio, che i ciechi siano diventati non vedenti e che le persone con disabilità di vario genere siano diventate persone diversamente abili, senza che questo abbia comportato un maggior rispetto dei loro diritti.
In alcuni casi, per attenersi al politicamente corretto, si pretende di togliere qualcosa ad alcune categorie, per non urtare la sensibilità di altre categorie minoritarie. In pratica, si vuole sottrarre qualcosa di non materiale (se fosse qualcosa di materiale ciò potrebbe avere senso) a molte persone, non allo scopo di arricchire gli appartenenti ad una minoranza, ma solo per evitare che la persistenza di quella situazione possa urtare la sensibilità di questi ultimi. Tra l’altro, questa pretesa si basa sulla presunzione di sapere cosa sia un bene per le persone che si vogliono tutelare (la proposta di togliere il Crocefisso o di non festeggiare il Natale nelle scuole ne sono un esempio).
Ma siamo davvero certi che è sottraendo qualcosa che fa parte della tradizione di una comunità che si migliori la vita di altre comunità e non piuttosto che lo si possa e lo si debba fare consentendo anche a queste ultime di esprimere le loro tradizioni, nel rispetto reciproco e, soprattutto, nel rispetto delle leggi e della sicurezza della Nazione che li ospita?
Non è certo abolendo la parola Natale e sostituendola con espressioni assurde (“la Grande Festa delle buone feste”), o bandendo qualsiasi cosa che possa ricordare questa festività, come ha fatto una maestra, in una scuola primaria di Pordenone, che in una canzoncina natalizia ha sostituito la parola Gesù con Perù, o rinunciando all’usanza dello scambio degli auguri, come è stato fatto in alcuni istituti scolastici, che si favorisce una convivenza pacifica, tra diversi popoli, diverse culture e diverse civiltà.
Il politicamente corretto rappresenta, molto spesso, un vera e propria forma di tribunale inquisitorio e quindi inibitorio, anche per chi vuole esprimere la propria opinione su un fatto ritenuto grave e commesso, ad esempio, da una donna, magari di bello aspetto, o da una persona di altra nazionalità, magari dal diverso colore della pelle, ma che per non essere accusato di trasgredire il politicamente corretto deve guardarsi bene dal farlo. In questi casi, invece, la critica dovrebbe essere consentita, purché non si facciano generalizzazioni sull’appartenenza a quel sesso, a quella religione, a quel colore di pelle, e non si utilizzino i classici stereotipi.
Anche fare satira o fare il verso a qualcuno, appartenente ad un gruppo sociale di minoranza, seppur soggetto a discriminazioni di vario genere, non dovrebbe portare ad invocare il politicamente corretto, perché l’ironia e la comicità, molto spesso, creando delle parodie, sono capaci di levare nelle opinione pubblica le incrostazioni di pregiudizio esistenti su tutto ciò che di diverso appartiene a tale gruppo (tradizioni, usanze, ecc.) e servono ad esorcizzare paure e timori.
Del resto, non è rispettando questa specie di “vangelo” del politicamente corretto che ci si può sentire con la coscienza a posto nei confronti di quei gruppi (di quelle rappresentanze) di minoranza, soggetti a discriminazioni, ma contribuendo a rendere ogni giorno la loro esistenza sempre più dignitosa, dopo essersi immedesimati nella loro situazione ed aver messo da parte ogni forma di pregiudizio.
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