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Operai in sciopero della fame, De Masi: ‘Morirò per colpa delle banche, non delle ‘ndrine’

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Operai in sciopero della fame, De Masi: ‘Morirò per colpa delle banche, non delle ‘ndrine’

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GIOIA TAURO – ‘Mi hanno sparato 44 colpi di kalashnikov nell’ultimo attentato, ma chiuderò per dei soggetti più pericolosi della mafia’.

Antonino De Masi non sopporta i soprusi. Il 31 Dicembre chiuderà battenti lasciando a casa 150 dipendenti. Tre di loro sono da 72 ore barricati in un capannone in sciopero della fame. Protestano contro le banche che hanno strangolato l’azienda, in sostegno del proprio titolare che ha fatto di tutto per sopravvivere. Sacrificando la propria esistenza. E’ lui stesso a dirlo: “io vivo una vita che non è una vita. Credo di essere l’unico imprenditore – afferma De Masi – nel mondo occidentale che lavora con il presidio dell’esercito davanti la porta dell’azienda. Non ho da anni una vita nè privata nè sociale vivendo sotto protezione e scortato dai carabinieri. Non esco. E’ il prezzo che pago per cercare di dare un futuro migliore a tutti: a me stesso, ai miei figli, a questa terra.

 

Ho subito diversi attentati. La storia della mia famiglia è la storia di quarant’anni di aggressioni criminali. Bombe e minacce di ogni genere possibile e immaginabile. Le ‘ndrine probabilmente vogliono prenderci l’azienda, ma questa è tutta un’altra storia. Stranamente, non morirò per la ‘ndrangheta. Io morirò per colpa delle banche e della giustizia ‘ritardataria’. La mia azienda potrebbe passare da 150 dipendenti odierni a circa 200 nello spazio di pochi mesi. Si tratta di una realtà florida con margini di crescita importanti. Eravamo leader mondiali nella vendita di macchine utilizzate nella raccolta dei frutti pendenti (olive, mandorle, nocciole, pistacchi). Esportavamo in Messico, Turchia, Grecia, Francia, Libia, Iran, Australia, Nuova Zelanda, Portogallo, Spagna. Quando abbiamo fatto nel 2000 investimenti nell’area industriale di Gioia Tauro dopo una serie di disguidi, anomalie, stranezze per dei ritardi burocratici siamo stati costretti a ricorrere al credito bancario.

 

Su delle linee di credito sotto forma di anticipazioni ci sono stati addebitati sei milioni di euro di oneri finanziari su un importo di circa dodici milioni di euro. Abbiamo detto alle banche avete sbagliato. Mi hanno dato del pazzo, detto che i conti erano giusti. Ho fatto fare una verifica contabie e avviato un’azione legale per il costo eccessivo del denaro che oltrepassava la soglia tale da definirsi usura. Mi hanno quindi chiuso tutti i conti. Le tre banche che ho portato in giudizio (Monte dei Paschi di Siena Banca Antonveneta, Banca Nazionale del Lavoro, Banca UniRoma Unicredit) sono state condannate per usura e la sentenza è stata confermata anche in Cassazione. Sono stato costretto a svendere tutti i beni di famiglia, tutto ciò che avevo per garantire liquidità ai fornitori e ai dipendenti. Ci siamo riusciti, vendendo alcune aziende, salvandone altre e restando ad oggi con 150 posti di lavoro anzichè 280.

 

Per arrivare a ciò abbiamo venduto la merce chiedendo ai nostri clienti il pagamento contante e anticipato. Esausti abbiamo massacratro i mercati perchè non si può fare nessuna politica espansionistica chiedendo il pagamento in anticipo, bisogna lavorare sui prezzi. Lo scorso anno anche in funzione di alcuni attentati criminali che avevamo subito, stavolta da parte della ‘ndrangheta, abbiamo deciso di chiudere le aziende. Il ministero dello Sviluppo Economico è quindi intervenuto aprendo un tavolo per discutere della situazione De Masi. Abbiamo perciò presentato al governo il nostro piano industriale mostrando che invece di chiudere potremmo continuare a crescere a condizione che, come in ogni paese normale, il nostro piano industriale venga finanziato. Le banche rispondono ponendomi di fronte a un ultimatum: o rinunciare al risarcimento o morire.

 

Siccome non riesco a sopportare le prevaricazioni da parte di nessuno il 31 Dicembre chiuderò le aziende perchè non ho più la forza di continuare a combattere contro un potere che è al di sopra delle leggi e di tutto. Non chiedo nè elemosine, nè cortesie. nè favori, nè aiuti: solo giustizia. Ho subito da parte delle banche 69 episodi di usura chi doveva vigilare su queste porcherie non ha vigilato consentendo che questi soggetti criminali rubassero il mio denaro. Se mi ridanno i miei soldi, quelli di cui si sono appropriati, che mi hanno rubato, io non ho bisogno di nulla. Continuo con le mie gambe, come ho sempre fatto. Certamente chiedo che come tutti gli imprenditori che hanno un piano industriale e lo presentano agli istituti di credito questo venga valutato per quello che è per poi continuare a fare impresa e non scappare e andare via costringendomi a farlo altrove”.

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