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Furti di rame, dopo i tafferugli nel quartiere San Vito arrivano gli arresti (FOTO)

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Furti di rame, dopo i tafferugli nel quartiere San Vito arrivano gli arresti (FOTO)

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COSENZA – Per scongiurare il sequestro circa 50 persone, tra cui una donna incinta, aggredirono gli agenti di polizia.

L’irruzione degli operatori di polizia nelle palazzine che sovrastano il quartiere Far West, lo scorso 8 di Ottobre, scatenò una vera e propria rivolta popolare. Uno dei poliziotti fu afferrato per i capelli e scaraventato a terra con violenza. Mentre altri furono colpiti dalle pietre lanciate dai residenti. Sette agenti rimasero feriti. In avanscoperta fu mandata una donna incinta che, nonostante l’invito degli operatori ad allontanarsi continuava ad inveirgli contro e colpirli. Furono momenti concitati, ma il sequestro dei 100 chili di rame stipati in una baracca abusiva allestita su terreno demaniale fu eseguito. Nonostante l’aggressione e le urla con le quali venivano invitati ad abbandonare il quartiere altrimenti ‘vi spariamo’. Gli arresti per furto, ricettazione, lesioni e minacce a pubblico ufficiale sono invece stati eseguiti solo oggi.

 

Destinatari del provvedimento sono i familiari, nonchè lo stesso 52enne Luigi Mario ritenuto il boss dell ‘oro rosso’ trafugato e nascosto nelle baracche. L’uomo è stato tradotto in carcere mentre il genero trentenne Antonio Abbruzzese è stato posto agli arresti domiciliari. Obbligo di dimora invece per la moglie 51enne, Franca Abbruzzese ed obbligo di firma per la cognata Silvana Manzi di 46 anni, per il fratello Giuliano Mario 50enne, il figlio 29enne Antonio Mario e la figlia ventiquattrenne incinta Manuela Mario. Il nucleo familiare è stato intercettato in tre abitazioni diverse, ma limitrofe. Alll’arrivo degli agenti gli arrestati pare non abbiamo opposto resistenza. Il terreno sul quale è stato ritrovato il rame, era stato inoltre utilizzato per ripulirlo bruciandone le coperture di plastica a copertura del metallo, causando quindi l’inquinamento del suolo che sarà bonificato dal Comune. I cavi trafugati ed occultati nell’enclave rom appartenevano all’azienda di telecomunicazioni Telecom Italia.  

 

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