Cultura & Spettacolo
Pausa di riflessione – Inno alla gentilezza, ma anche alla… cortesia
Nel concetto di gentilezza è insito quello di cortesia (ma non è sempre vero il contrario), motivo per cui molto spesso i due termini vengono considerati sovrapponibili. In realtà, essi non lo sono.
Non possono esserlo perché la gentilezza è una vera dote naturale dell’anima, che non tutti posseggono, mentre la cortesia è qualcosa di più complesso. Essa prevede la volontà di voler rispettare gli altri, provando a riconoscere i loro bisogni, soprattutto quelli emotivi, e a manifestare nei loro confronti una sorta di generosità. Per riuscire ad essere cortesi è richiesta una capacità di immedesimarsi nell’altro, mettendo in campo l’empatia, ma soprattutto una buona educazione, ed una certa dose di intelligenza e di lungimiranza. La cortesia, infatti, proteggendo i sentimenti degli altri e garantendo il loro benessere, alla fine riesce a garantire anche quello di chi la elargisce.
A differenza della gentilezza, che come dicevamo è un moto spontaneo dell’animo e che non implica tutte queste dinamiche, la cortesia può contenere anche qualcosa di formale. Essa non è strettamente obbligatoria, per cui chi parla può decidere di essere o non essere cortese con i suoi interlocutori. Questa possibilità di scelta avviene, ovviamente, quando essa non è supportata da quel modo di essere spontaneo che caratterizza la gentilezza. La sua diversa modulazione, in base alle circostanze, può rendere questa forma di cortesia, anche convenzionale e formale. Essere esageratamente cortesi può sottendere la volontà di tenere le distanze dagli altri. E’ questa una forma di cortesia negativa, la cosiddetta “gelida cortesia”, che mira, spesso, a nascondere o a mitigare una eventuale avversione verso qualcuno, e che per questo finisce per diventare “scortese”.
Molte volte, si è del tutto refrattari alla cortesia, perché la si ritiene un futile orpello sentimentale, che procura solo una perdita di tempo, e rischia di costituire un’apertura di credito nei confronti di chi potrebbe poi approfittarne per avanzare sempre più pretese. Questa idea della cortesia, spesso, possiamo coglierla nell’atteggiamento di chi, in un ufficio pubblico, è preposto ad accogliere una qualche nostra richiesta. Mentre esponiamo la nostra esigenza notiamo in questa persona un’espressione, dapprima seccata, per la nostra indebita intrusione nei suoi pensieri, poi diffidente sulle nostre reali intenzioni, che potrebbero nascondere qualche insidia capace di alterare il suo stato d’animo, infine preoccupata per le difficoltà che la nostra presenza potrebbe comportare. Solo quando si accorge che le nostre domande, tra l’altro poste con estrema cortesia, non costituiscono un attentato al suo equilibrio psicologico ed un’eccessiva perdita di tempo, se siamo fortunati, stempera la sua mimica facciale ostile in un ghigno che probabilmente nelle sue intenzioni dovrebbe rappresentare un sorriso, o almeno così noi lo percepiamo e finiamo per questo per (dover) essergli grati.
Un altro caso di mancanza di cortesia, è quello riscontrabile nell’uso del pronome “tu”: Esso imperversa in ogni ambito e in ogni contesto, tanto essere diventato un vero abuso.
Devo premettere che ho sempre ritenuto che sarebbe stato meglio avere in dotazione, nelle lingua italiana, un unico pronome personale, per rivolgersi all’interlocutore, come avviene da sempre tra i popoli anglosassoni. Del resto, è il modo con il quale ci si rivolge verso qualcuno che esprime il rispetto che si ha nei suoi confronti, non il pronome utilizzato. A questo proposito, mi viene da sorridere se penso a quello che accade in alcuni dibattiti televisivi, quando la discussione degenera e tra i protagonisti volano gli insulti più feroci e più volgari, che stridono con la forma che essi tentano di preservare, continuando a rivolgersi l’un l’altro con un dissonante e quindi patetico e ridicolo “lei”.
Dal momento, però, che nella nostra lingua sono previsti più tipi di pronomi, da impiegare nel rapportarsi con gli altri, forse sarebbe opportuno usarli ed adeguarsi ad una certa norma. Essa prevede che tra persone adulte, che non si conoscono o che non sono in confidenza, venga usato il “lei”, sostituito in molte regioni del sud, con il più riguardoso ed empatico “voi”. Non usarlo, soprattutto nei confronti di chi non è più tanto giovane, rappresenta, a mio avviso, una mancanza di rispetto. Se tra i soggetti del dialogo dovesse esserci una notevole differenza di età, ed uno dei due fosse giovanissimo, potrebbe essere consentito l’uso del “tu” nei suoi confronti, ma ciò non giustificherebbe mai che questi si sentisse autorizzato di fare altrettanto con la persona più anziana (tranne se quest’ultima lo richiedesse esplicitamente).
L’uso del “tu” sarebbe ancora più innaturale nel confronto tra una ragazza molto giovane ed un uomo di età abbastanza “matura” (anche nel caso contrario ovviamente). Rischierebbe di creare, oltretutto, malintesi sull’origine della confidenza esistente tra i due. E’ evidente che si sia verificata, negli ultimi tempi, una diminuzione dell’attenzione e del rispetto nei confronti del prossimo. Quello che più preoccupa, però, è che non possiamo farci troppe illusioni che le cose cambino, perché se, da un lato, la gentilezza è una dote innata e purtroppo non molto diffusa in natura, dall’altro lato, la cortesia per essere messa in campo presuppone troppe capacità intellettive e psicologiche, e, soprattutto, una buona dose di educazione. E di quest’ultima, francamente, non se ne vede molta in giro.
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