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Cocaina dalla Colombia: ‘seguono’ il denaro e trovano l’Area 51 dei narcos (VIDEO)

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Cocaina dalla Colombia: ‘seguono’ il denaro e trovano l’Area 51 dei narcos (VIDEO)

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Corriere diretto in Olanda per incontrare i ‘colombiani’ fermato in auto con 390mila euro nascosti nella carrozzeria. Arrestati titolari officine specializzate in doppi fondi.

 

MILANO – Operazione antidroga storica a Milano. L’operazione Area 51 scattata stamattina ha portato all’esecuzione di 21 ordinanze di custodia cautelare emesse su richiesta della Direzione Investigativa Antimafia. I destinatari sono accusati, in concorso, di traffico internazionale di stupefacenti aggravato dal metodo mafioso. Tra di loro appaiono anche funzionari d’aeroporto al soldo di presunti sodale della cosca Gallace di Guardavalle, nel Catanzarese. “Follow the money”, ovvero “segui il denaro”: questa la filosofia – una novita’ nel campo delle indagini per droga – che ha guidato gli inquirenti e gli investigatori. In questa operazione infatti non e’ stato sequestrato stupefacente, ma denaro: ben 700mila euro in contanti (in tutto 1 milione e 250mila euro).

 

Durante gli arresti di oggi che sono avvenuti tra Milano, Monza e Brianza, Alessandria, Perugia, Catanzaro, Roma, Varese e Vercelli i carabinieri hanno infatti trovato 250mila euro in contanti, nelle case e nelle tasche degli esponenti dell’organizzazione. Altri 390mila sono stati sequestrati nel momento in cui un corriere stava per partire dall’Italia con un’auto verso l’Olanda, dove avrebbe dovuto consegnare il denaro direttamente ai cartelli colombiani. Gli inquirenti sono sicuri, dei rapporti diretti con i produttori sudamericani, perche’ lo stesso corriere era appena tornato in Italia dopo un viaggio a Barcellona per conto dell’organizzazione. Partito da Milano in macchina, insieme ad un altro, nella città catalana gli erano stati consegnati 490mila euro.

 

Fondamentali in questo caso le intercettazioni. Una parte interessante dell’indagine coinvolge le officine specializzate nel “modificare le auto” per rendere introvabile il denaro: anche i proprietari sono stati arrestati. Una delle officine si trovava ad Anzio, in provincia di Roma, l’altra a Sedriano, provincia di Milano. “La modifica delle auto era cosi’ sofisticata che in un’occasione ci abbiamo messo 24 ore a trovare i soldi che erano nascosti dietro un faro” ha raccontato Michele Miulli, comandante del nucleo investigativo dei carabinieri di Milano. C’erano anche degli infiltrati a Malpensa e c’erano in campo dei progetti per far passare la droga attraverso lo scalo Milanese direttamente dalla Colombia. Ne sono sicuri gli investigatori dell’operazione ‘Area 51′ in cui ancora due persone risultano irreperibili.

 

A carico dei funzionari dell’aeroporto di Malpensa gli investigatori hanno documentato un pagamento gia’ avvenuto di 3mila euro. Soldi versati in segno di ricompensa nei confronti di due cognati, originari di Varese, sposati con due donne colombiane: uno di loro lavorava per una compagnia aerea, l’altro per una ditta collegata. Il primo aveva gia’ elaborato un progetto,un vero e proprio schizzo, su come inserire la droga nella carlinga dell’aeromobile. ‘Serve una persona pulita per i pagamenti’ e’ emerso poi da alcune intercettazioni, perche’ la cosca stava anche cercando ditte disposte a commercializzare con il sud America e quindi ad importare la prossima partita di cocaina. Nel presentare alla stampa l’esito dell’operazione il colonnello Roberto Pugnetti del Ros, ha ricordato il collegamento con la maxi operazione Crimine Infinito del 2010, vero colpo al cuore della ‘Ndrangheta nel nord. Da li’ e’ partito un primo sequestro di 400 chili di droga al porto di Genova che ha portato a scoprire il metodo con il quale viaggiano centinaia di chili di cocaina dalla Colombia all’Europa nascosti all’interno della carlinga di grossi aeroplani.

COME LA COSCA IMPORTA COCAINA DALLA COLOMBIA

L’indagine, come riportato dal Corriere della Sera, è partita dall’arresto in flagranza, nel settembre 2015 a Bareggio in provincia di Milano, di un trafficante trovato in possesso di 30 chili di cocaina. Approfondendo la sua rete di conoscenze, i carabinieri hanno scoperto che ad Arluno sempre nel meneghino la ‘ndrangheta aveva impiantato una base per importare in Italia grandi quantitativi di cocaina. I capi erano i boss della famiglia Gallace, che controlla la zona di Guardavalle (Catanzaro) e ha ramificazioni sia in Lombardia che nel Lazio (Anzio e Nettuno). I boss gestivano l’importazione dal Sudamerica e il traffico di ingenti quantitativi di cocaina tramite dei prestanome con i documenti «puliti», ai quali venivano intestate le società «di comodo» in cambio di un regolare stipendio mensile.

La base logistica era ad Arluno in via Martiri della Liberta’ 15, in un complesso abitativo costituito da diversi appartamenti riuniti attorno ad una corte: luogo strategico per stoccare la droga e organizzare riunioni, un vero e proprio «fortino», molto appartato e con unico accesso da una stradina stretta a fondo chiuso, facilmente controllabile. Da qui il nome dato dai carabinieri all’operazione: «Area 51», la zona militare Usa nel deserto del Nevada divenuta leggendaria per gli elevati livelli di segretezza. L’organizzazione disponeva di diverse autovetture munite di doppio fondo, intestate a incensurati, nonché di una rete di officine e carrozzerie – una a Sedriano, un’altra ad Anzio, in provincia di Roma – in grado di effettuare le modifiche strutturali ai mezzi e le «bonifiche» per a rintracciare la presenza di microspie.

 

Per comunicare tra loro, i componenti usavano telefoni blackberry criptati da tremila euro (non fanno foto e non fanno video) con schede sim statunitensi: potevano così criptare il contenuto delle comunicazioni e cancellare da remoto le conversazioni in caso di intervento delle forze dell’ordine. La banda stava portando avanti una trattativa per importare dall’estero, verosimilmente dalla Colombia, un ingente quantitativo di cocaina. In Spagna era già stata consegnata la somma di 1.250.000 euro in contanti ad emissari di cartelli colombiani. Il trasporto sarebbe dovuto avvenire tramite aeroplano, grazie alla complicità di due tecnici aeroportuali di Malpensa. I due cognati avevano ricevuto l’acconto e le loro competenze e autorizzazioni avrebbero consentito di poter pianificare il trasporto del carico di cocaina proveniente dalla Colombia.

L’inizio vero dell’operazione e’ tra il 23 e il 26 settembre 2015, quando Raffaele Procopio (45 anni) viene arrestato a Legnano: nel doppio fondo dell’auto che guida ci sono 30 chili di cocaina. Procopio e’ calabrese, fidato dei Gallace di Guardavalle e non nuovo ai viaggi andata e ritorno Lamezia-Milano. L’organizzazione, secondo i giudici, ha un vertice: Francesco Riitano, 37 anni, detto “Il Generale”. Interno della cosca “Gallace” di Guardavalle, gia’ presente al Nord. Riitano non e’ una figura qualsiasi: e’ “partecipe ed affiliato al locale di Guardavalle”, in quanto ha avuto un ruolo nella latitanza del boss Vincenzo Gallace. Risulta residente in Germania, ma di fatto abita ad Arluno, raccoglie denaro da distribuire ai “calabresi”, tratta la compravendita di droga con i colombiani, e soprattutto da’ ordini ad Alfio di Mare, 67 anni. E’ lui il numero 2: corriere della droga, grazie alla traduzione della moglie di origine cilena Silvana Colombo, parla con i colombiani di cui si definisce “amico” e fa la spola tra Barcellona e l’Olanda per le grosse consegne.

 

E’ lo stesso Di Mare, poi che si reca personalmente in Colombia, e parla con gli infiltrati a Malpensa. Ecco l’elemento nuovo dell’indagine: fra gli arrestati anche due tecnici aeroportuali, Davide Mazzerbo, di 47 anni, e Antonio Traettino, di 38. Di Maio incontra personalmente il primo proprio a Malpensa, mentre il secondo aveva preparato dei disegni industriali per mostrare come nascondere nella carlinga degli aerei intercontinentali dal Sudamerica una enorme partita di droga. E poi c’e’ il contorno di personaggi con ruoli organizzativi ed esecutivi interni al clan: nelle carte si parla di Nicola Guido (31 anni, detto u Betteju), genero della sorella di Riitano e strettissimo del figlio del boss Gallace, Damiano. E Augusto Sama’, cognato di Riitano stesso. Sono loro gli incaricati del trasporto e della gestione, vivono tutti insieme, accompagnati dalle mogli, parenti tra loro e custodi del legame familiare, nel fortino di Arluno. La droga, dicono i magistrati , e’ il loro unico lavoro: non hanno reddito eppure hanno famiglie da mantenere, “un patrimonio sociale, appartamenti e auto” e “hanno continuato la loro attivita’ nonostante avessero avuto sentore di essere braccati dalle forze dell’ordine”. L’indagine rivela come gli schemi della ‘ndrangheta rimangano uguali a se stessi.

CLICCA IN BASSO PER GUARDARE IL VIDEO DELLE INTERCETTAZIONI

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