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Pausa di Riflessione – I nostri figli e le nostre pretese, tra passioni e talento

Cultura & Spettacolo

Pausa di Riflessione – I nostri figli e le nostre pretese, tra passioni e talento

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Cosa pretendiamo dai nostri figli? A volte, sembra che pretendiamo da loro cose che non potranno mai darci.

 

Li obblighiamo a praticare attività che a loro non piacciono, o che addirittura non sono per loro congeniali, aspettandoci anche dei risultati, per poi restare scioccamente delusi, se questi non arrivano, e addebitarne la colpa ad altri. Distratti da questo tipo di pretese finiamo con il relegare in secondo piano quelle che riguardano cose basilari come l’apprendimento e l’osservanza delle regole di buona educazione, abdicando così in pratica al nostro ruolo di educatori di prima istanza.

Quando c’è da parte nostra la passione per qualcosa, tentiamo spesso di inculcargliela, pensando forse che essa debba in qualche modo appartenere anche a loro, come una specie di caratteristica trasmessa geneticamente, e che il nostro ruolo debba essere quello di tirarla fuori. Se è vero che si può anche provare a tirarla fuori, essa non deve, però, essere mai imposta e pretesa. Semmai, se presente, va sostenuta, e poiché prevede l’impegno, che è sempre una cosa da ammirare, va incoraggiata anche nel caso in cui non sottenda un talento. Considerando, inoltre, che, sebbene sia quest’ultimo a far ottenere i risultati obiettivi (la passione è soggettiva mentre il talento è oggettivo ed è il confronto con gli altri che ci fa capire se la nostra passione corrisponda ad un nostro talento), in una società basata sulla meritocrazia, dovrebbe essere premiata anche la passione senza talento, perché altrimenti si rischierebbe di annichilire gli entusiasmi, che essa fa profondere in molte attività.

Anche i genitori delle generazioni passate avevano delle pretese nei riguardi dei propri figli, ma il loro desiderio era, soprattutto nei casi in cui si praticavano i mestieri, che acquisissero delle competenze da mettere in pratica in futuro, nello svolgimento di un lavoro. La scuola allora aveva un ruolo ben preciso, ma, soprattutto, quel ruolo le veniva riconosciuto dai genitori, quando vi iscrivevano i loro figli. Nel caso in cui lo studente era deputato ad intraprendere un mestiere, essa rappresentava il modo per ottenere delle capacità espressive, che potessero affrancarlo da una forma di arretratezza culturale. In altri casi, la scuola serviva per dare gli strumenti utili per partecipare in maniera proficua, alla fine di un ciclo di studi (licenza media o diploma), a qualche concorso per ottenere il famoso posto fisso. In altri casi ancora, essa rappresentava un percorso propedeutico per poter proseguire gli studi ed intraprendere l’università che consentiva l’accesso al mondo delle professioni.

Il coltivare le passioni era lasciato alla libera facoltà del ragazzo (sebbene tentativi di sollecitazione ad intraprendere ora questa ora quella attività, soprattutto sportiva, venivano fatti da alcuni genitori, quasi mai, però, da quelli che non appartenevano ai ceti sociali più alti). Comunque , quello che si pretendeva da loro non era un risultato derivante necessariamente dalla prestanza fisica o che mirasse, come avviene oggi, a mettere in mostra elementi di una volgare forma di seduzione, anzi questa modalità era esclusa perché ritenuta sconveniente. In altri termini, non si voleva ottenere dai figli un trofeo da esibire nell’immediatezza, dopo aver cercato in tutti i modi di proiettare su di loro i propri desideri, a volte anche barando, per averne una gratificazione personale, come avviene oggi. Il motivo di orgoglio semmai era rappresentato dal vedere il proprio ragazzo che era riuscito a compiere un certo percorso di studi ed aver ottenuto una buona posizione lavorativa.

Da questo cambiamento del genere di pretese, che vengono avanzate oggi dai genitori sui figli, dipende anche il loro modo conflittuale di confrontarsi con gli insegnanti. Il volere sindacare sull’operato di questi ultimi, ogni volta che i risultati ottenuti dai propri figli non sono quelli da loro sperati, è solo la cartina al tornasole di come sia cambiato il rapporto tra genitori ed insegnanti e che questo non aiuti la crescita dei ragazzi. Infatti, una eccessiva protezione sortisce non solo un contrasto con gli insegnanti, ma, soprattutto, un danno permanente su di loro.

I genitori oggi sono iperprotettivi e non si rendono conto che così facendo rendono i loro figli incapaci di accettare una sconfitta. C’è in loro un’ansia che li porta ad intervenire in loro difesa, anche quando non sarebbe opportuno farlo. Mi riferisco in particolare a quei genitori che a scuola, a esempio, pur di giustificarli sempre e comunque, non esitano a minacciare gli insegnanti se questi si azzardano a far notare loro qualche mancanza nel rendimento scolastico o ancora peggio nella condotta dei loro figli. Sono genitori che volendo loro spianare la strada (cosa peraltro legittima e comprensibile), superano certi limiti finendo con il renderli inetti, prepotenti e maleducati. E questo francamente non mi sembra un buon viatico per fare di loro gli uomini giusti di domani.

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