Cultura & Spettacolo
La speranza è sempre l’ultima a morire?
Nella mitologia greca, la speranza è uno degli elementi (che poi si rivelarono dei mali) contenuti nel vaso di Pandora, l’unico che rimase in esso racchiuso, quando la donna, presa dalla curiosità, lo scoperchiò. Forse anche per questo si dice che la speranza sia l’ultima a morire.
La speranza è desiderio, attesa fiduciosa che nel futuro qualcosa cambi, è ciò che ci porta a continuare a fare progetti, in momenti di difficoltà. E’ proprio da queste considerazioni che bisogna partire per comprendere la scelta fatta da Dj Fabo, quella di porre fine alla sua dolorosa ed insostenibile condizione. Scelta che ha aperto un dibattito che, come al solito, purtroppo, ha visto il formarsi di due schieramenti contrapposti. Ognuno di noi, noncurante e quindi, a mio avviso, in qualche modo colpevole di non aver osservato le regole imposte dall’opportunità e dal rispetto della volontà di un essere umano, che versava in quella triste condizione, ha espresso la propria opinione, spesso con veemenza, tanto più inspiegabile, quanto più immotivata.
Fuori da ogni considerazione di merito sulla necessità di una legge che consenta di interrompere la propria vita, in certe situazioni di estrema tragicità, cosa peraltro al di fuori dalla mia capacità di discernimento tra quello che sia giusto o ingiusto fare in questi casi, quello che mi preme analizzare sono le modalità con le quali tale dibattito è avvenuto.
In alcuni commenti ho notato un’eccessiva intransigenza, in altri molta presunzione e quasi in tutti una vergognosa arroganza. Un argomento simile, per giunta nell’immediatezza del fatto, non può essere affrontato con intransigenza, perché è del tutto evidente che nell’analizzarlo debba essere dato ampio spazio ai dubbi ed alle perplessità. Non può essere affrontato con la presunzione di essere depositari della verità assoluta, perché nessuno di noi può esserlo. E, soprattutto, non deve mirare a creare fronti contrapposti, ma semmai a stimolarci a trovare soluzioni di buon senso.
Ma, la cosa che più di ogni altra mi ha lasciato sbalordito, è stato l’aver individuato un elemento di contraddizione profonda negli appartenenti allo schieramento degli intransigenti assoluti. Ho notato che alcune delle persone intervistate che sostenevano, giustamente, l’idea dell’alto valore della vita, della necessità di salvaguardarla in tutti i modi e che essa non sia un bene di nostra esclusiva pertinenza e quindi un bene disponibile, fossero le stesse che in altri
dibattiti su argomenti diversi, ma con lo stesso comune denominatore, cioè la vita umana, erano sfacciatamente noncuranti delle conseguenze delle loro affermazioni e delle loro scelte. Mi riferisco a coloro che inneggiano alla giustizia “fai da te”, all’istituzione della pena di morte e soprattutto a coloro che sostengono che il “respingimento” dei migranti debba essere attuato con ogni mezzo, pur sapendo che questa loro scelta condannerebbe quelle persone ad una inevitabile tragica sorte, che decreterebbe la fine della loro vita.
Entrando nello specifico della vicenda, provo ad immaginare alcune cose che Dj Fabo avrebbe potuto dirci e che forse ci ha detto durante il corso della sua lunga agonia (durata circa tre anni), magari non solo a parole. Ci avrebbe potuto dire che ognuno nella vita, tra i tanti momenti difficili, che inevitabilmente la caratterizzano, ha bisogno per andare avanti che si alternino periodi di felicità, anche se brevi e fugaci, e che quando si interrompe tale alternanza e gli attimi di felicità scompaiono dal suo orizzonte, allora la richiesta di porre fine all’esistenza deve essere per lui almeno una opzione di scelta. Ci avrebbe potuto dire che quando non c’è più spazio per salvaguardare l’intimità del proprio corpo si può arrivare ad avere la sensazione di perdere anche la dignità.
Ci avrebbe potuto dire che poiché la speranza è il motore delle azioni umane, quando essa, dopo essersi affievolita sempre più ed essersi ridotta ad un lumicino, si spegne completamente, allora è la disperazione che si impadronisce di noi e ci spinge alla scelta più estrema, che non può e non deve trovare una sentenza di condanna da parte di nessuno, perché nessuno può arrogarsi il diritto di farlo, non fosse altro perché non si trova in quella stessa condizione. Ci avrebbe potuto dire, parafrasando Sciascia, che vi possono essere, purtroppo, situazioni nella vita dove non è la speranza l’ultima a morire, ma il morire è l’ultima speranza.
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