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Il business dei call center a sette grandi imprese tra cui la calabrese Abramo

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Il business dei call center a sette grandi imprese tra cui la calabrese Abramo

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Tra tagli e delocalizzazioni sono oggi in totale 80mila i lavoratori delle sette aziende che si accaparranno il 60% del volume d’affari del settore call center.

 

ROMA – Ridurre i costi per acquisire la commessa. E’ questa la parola d’ordine delle società di call center, che per schiacciare le spese tagliano il costo del lavoro o delocalizzano. Le aziende del settore sono circa 200 ma il 60% del giro d’affari e’ diviso tra 7 grandi imprese: Almaviva, Comdata, Call & Call, Transcom, Teleperformance, Visiant, Abramo. Nel complesso gli addetti sono circa 80mila, la maggioranza dei quali assunti con contratti part time: 40mila a tempo indeterminato e 40mila con contratti di collaborazione. Fino al 2016, il settore era considerato una ‘giungla’ non regolamentata, ben descritta dal film di Paolo Virzi’ “Tutta la vita davanti”. Grazie all’intervento normativo del governo Prodi (ministro del Lavoro Cesare Damiano) vennero regolarizzati 26mila dipendenti. La decontribuzione introdotta dalla legge di Stabilita’ ha consentito nel 2015 un ulteriore aumento delle stabilizzazioni dei rapporti di lavoro, cosi’ come in passato gli sgravi per il Mezzogiorno (la legge 407/90 e i contributi Fondo sociale europeo) avevano favorito l’apertura di call center nelle regioni meridionali: ‘avventure’ terminate a volte con lo scadere dei benefici.

 

Il costo del personale rappresenta l’80% del conto economico: la competizione tra operatori puo’ determinare un’involuzione delle condizioni di lavoro o la delocalizzazione dell’attivita’. Migliaia sono le postazioni fuori d’Italia, in grande maggioranza per i servizi cosiddetti ‘outbound’, cioe’ di vendita, telemarketing, ricerche di mercato, sondaggi etc. Le attivita’ delocalizzate rappresentano circa il 15% del totale del mercato italiano: il paese di preferenza e’ l’Albania (Tirana, Durazzo, Valona), seguito da Romania e Croazia (Pola). Solo in Albania nel 2015 è raddoppiato il numero di call center che lavorano per il mercato italiano con oltre 25mila posti di lavoro. Il legislatore è intervenuto con una norma che disciplina le delocalizzazioni (art. 24 del decreto Sviluppo 83/2012), ma non e’ mai stata applicata nei fatti. Il nodo irrisolto sono le gare al massimo ribasso, le rivisitazioni in calo delle tariffe d’appalto, i continui cambi di appalto. Il problema, affermano i sindacati, non sta nella crisi della domanda: i servizi offerti dai call center non sono stati infatti ridotti dalle aziende committenti. E’ piuttosto la mancanza di un regolamento che imponga il rispetto del contratto nazionale di lavoro per evitare che le imprese piu’ spregiudicate paghino meno il lavoro estromettendo dal mercato le imprese corrette o che scelgano la via dell’estero.

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