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Sangue infetto, la relazione della Procura sulle sacche killer
 
																								
												
												
											COSENZA – Chiuse le indagini sul caso Ruffolo, l’uomo deceduto all’Annunziata dopo una trasfusione.
In tutto sono dieci gli indagati per aver provocato la morte del settantanovenne attraverso un’emotrasfusione contaminata dal batterio gram-negativo serratia marcescens. L’indagine diretta dal procuratore Granieri si è svolta in un ristretto arco temporale, sei mesi, in cui sono state acquisite diverse testimonianze, documenti, sequestrate strutture (come il centro trasfusionale di San Giovanni in Fiore) ed eseguite indagini di tipo tecnico-scientifico. A finire nell’occhio del ciclone sono stati anche i vertici dell’Ospedale dell’Annunziata accusati di aver rifiutato la consegna di atti d’ufficio. Tra di loro nomi eccellenti quali il direttore generale Paolo Maria Gangemi, il direttore sanitario Francesco De Rosa e il direttore del centro trasfusionale Marcello Bossio. Questi nonostante avessero ricevuto ben 65 segnalazioni di gravi carenze legate all’attività di trasfusione sui pazienti pare che, secondo la Procura, non avessero attivato nessun piano correttivo per andare a colmare le gravi lacune emerse nel corso di un’ispezione eseguita presso il centro trasfusionale.
Lacune che hanno indotto la commissione ministeriale dopo la morte di Ruffolo ad adottare come alternativa la chiusura del centro avendo “evidenziato – scrive la Procura una condizione talmente allarmante e deficitaria”. Ad ignorare i fatti accaduti all’Annunziata la responsabile Rischio Clinico Maria Addolorata Vantaggiato e il direttore del dipartimento di Medicina Pietro Leo. I due sono accusati di omessa denuncia di reato in quanto pur essendo a conoscenza che la morte dell’anziano fosse causata da una sacca ematica contenente germi patogeni non avrebbero inoltrato alcun tipo di comunicazione alle autorità giudiziaria. Ma c’è di più. Sia Bossio in qualità di direttore di Immunoematologia sia il direttore medico Osvaldo Perfetti da tempo sapevano che il sangue di San Giovanni in Fiore fosse pericolosissimo per la salute, era ormai assodato, ma non fecero nulla. Anzi continuarono a somministrarlo ai pazienti. Per questo motivo i due dovranno rispondere dei reati di somministrazione di medicinali guasti e di morte in conseguenza di altro reato doloso.
Sono invece accusati di omicidio colposo i due dirigenti del presidio ospedaliero di San Giovanni in Fiore “in quanto – scrive la Procura – permettevano che la raccolta, il prelievo e la conservazione del sangue avvenissero in locali e condizioni inidonee,in violazione della normativa in materia determinando l’elevata carica contaminnte e la moltiplicazione patogena del batterio serratia marcescens con esiti letali per il paziente trasfuso”. Ai rappresentanti della ditta produttrice del sapone ritrovato all’interno delle sacche, la ‘Germo S.p.A.’ invece si contesta il reato colposo di commercio e distribuzione di sostanze adulterate in modo pericoloso per la salute pubblica in quanto nei flaconi contenenti il sapone pare fosse presente il batterio serratia marcescens.
 
                         
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
											 
		
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