COSENZA – Tra i tanti desideri di Padre Fedele, c’è sempre stato quello di vedere un giorno, il suo Cosenza in Serie A. Oggi quel desiderio non è stato esaudito, ma lui ha comunque salutato per l’ultima volta quel manto erboso, quegli spalti che lo hanno visto, sciarpa al collo e megafono in mano, intonare l’immancabile “Maracanà”. Dopo i funerali questa mattina, il feretro del frate ultrà ha fatto tappa allo stadio San Vito – Gigi Marulla, accolto dall’abbraccio dei tifosi rossoblu per un saluto carico d’amore e memoria.
Un ultimo ‘giro di campo’ in quello stadio che per tanti anni è stata casa. Un momento carico di emozione, dove il silenzio è stato rotto dai cori, dai fumogeni e dalle voci dei tifosi che lo hanno accolto come un capitano di mille battaglie, storie e ricordi, simbolo di appartenenza e passione.
Addio a Padre Fedele: le testimonianze dei suoi “ragazzi”
Ad attenderlo oggi, ancora una volta, c’erano i suoi “ragazzi” cresciuti insieme a lui sugli spalti e nella vita, i compagni di strada, i figli spirituali, i fratelli di fede e di tifo. Un ultimo giro sotto la Curva, quella curva che lo ha visto sorridere, lottare, soffrire e gioire.
“Rimani in queste pietre, in questo manto erboso, e anche su quel riflettore”. Con queste parole, Claudio Dionesalvi ha salutato Padre Fedele con un discorso commosso e autentico: “Questa è la nostra casa. Tu case ne hai avute tante, in tutto il mondo, e c’è stato un momento in cui per avere una casa sei andato a dormire sotto i ponti. Sei stato anche un perseguitato a causa della giustizia ma hai avuto una fede incrollabile, sei stato un missionario impetuoso. Ci hai insegnato che l’Africa è dentro di noi e sei stato un esempio come ultrà. Sei stato un Francesco di nome e di fatto. Sei una delle persone più belle che hanno vissuto in questa città”. Rivolgendosi a Padre Fedele cita una lettera in cui il monaco aveva rivolto loro un invito a perdonare, ma anche a non dimenticare. “E noi non dimenticheremo” dice Claudio Dionesalvi.
“Se siamo la città più solidale del mondo, è anche grazie a lui” dice commosso Sergio Crocco, stringendo tra le braccia Teresa Boero, e ricordando un viaggio del 1986 nella Repubblica Centrafricana: “Sei riuscito a cambiarci la vita. Invito tutti a guardare la sua bara, la più semplice possibile, e anche in questo giorno ci ha insegnato l’umiltà e l’essere tra gli ultimi. Non si è mai girato dall’altra parte”. E poi altre testimonianze come quella di un tifoso del Casarano: “Padre Fedele era l’ultrà dei poveri e degli ultimi. Ci ha insegnato come applicare la solidarietà. Noi combattiamo per il suo stesso ideale. Vola in cielo, non finiremo mai di ringraziarti”.
L’ultimo saluto allo stadio non è stato solo un omaggio sportivo, ma un atto d’amore collettivo. Padre Fedele ha rappresentato per Cosenza molto più di un religioso o di un tifoso: è stato voce dei senza voce, guida per gli ultimi, megafono di giustizia, sciarpa di un’identità che non si spegne.
