Diffamazione, arrestato il giornalista 79enne Francesco Cangemi

REGGIO CALABRIA – Sarebbe una mera questione burocratica, intanto il direttore de Il dibattito resta in cella.

Dovrà scontare due anni di pena per aver “omesso di presentare istanza per la concessione delle misure alternative alla detenzione nei termini prescritti”. Il mandato di cattura che ha attivato la squadra mobile di Reggio Calabria arriva dalla Procura di Catania in esecuzione ad otto condanne per diffamazione comminate al giornalista Cangemi dal 2007 al 2012 nei Tribunali di Reggio Calabria, Cosenza e Catania. Un cumulo di pene sufficiente a far tintinnare le manette ai polsi di uno dei pochi cronisti calabresi indifferente alle pressioni di politici e potentati. Eppure Scopelliti quest’estate aveva avvertito un po’ tutti i giornalisti: ““state attentiti, c’e’ una informativa della Squadra Mobile di Reggio Calabria, che e’ stata depositata, sulla gestione dell’informazione da parte di alcuni giornalisti, credo cinque o sei, che fanno informazione in maniera poco corretta. Si tratta, si dice, di una informazione manipolata o condizionata da non so che cosa. Io ho detto che vorrei tanto sapere, intanto chi sono i «pupi», se ci sono questi soggetti, e ovviamente se ci sono anche i «pupari»“. Il governatore si riferiva forse a Cangemi, il giornalista che, come lui, sedette sulla poltrona della Giunta di Reggio Calabria in veste di sindaco? Non è dato sapere. Quello che è certo è lo sdegno dal mondo del giornalismo per una pratica considerata illeggittima anche dalla Corte Europea.Di seguito riportiamo il rendiconto di quanto accaduto pubblicato dal figlio di Cangemi, Maurizio Cangemi sulla propria testata on line Il Reggino.

 

Ebbene sì, stavolta lo scoop tocca proprio a me farlo. Per certi versi me lo sarei volentieri risparmiato (lo capirete bene) mentre per altri mi fa piacere scrivere per primo dell’arresto di mio padre. Sì, mio padre! Stamane, due uomini ed una donna della Polizia di Stato di Reggio di Calabria (garbatissimi ed al contempo sconcertati per il dover adempiere a simile ordine ricevuto), dando esecuzione ad un “Provvedimento di esecuzione di pene concorrenti con contestuale ordine di esecuzione per la carcerazione” (artt. 663 segg. C.P.P.) hanno dapprima accompagnato in Questura e, poi, alla Casa Circondariale “San Pietro”, il pericolosissimo giornalista reggino Francesco Gangemi. Colpevole di cosa? Associazione a delinquere, truffa, estorsione, omicidio colposo o premeditato? Rapina, stupro, molestie e maltrattamenti? Rapina, corruzione, abuso d’ufficio o traffico di rifiuti radioattivi? Nulla di tutto questo, ovviamente. La pericolosità sociale del Gangemi, che impone al Tribunale di emettere tale provvedimento e che lo relega reo in una cella delle patrie galere è dovuta all’aver commesso nientepopodimeno che il reato di diffamazione a mezzo stampa (art. 595 C.P.) durante la propria direzione de “Il Dibattito”. Oddio, in verità ne ha commesso anche un altro di reato quello di cui all’art. 372 C.P. (“falsa testimonianza”). A proposito di quest’ultimo, sapete perché è stato condannato? Perché non ha rivelato, dinnanzi al Giudice, le proprie fonti. Gli ultraquarantenni come me ricorderanno certamente il cosiddetto “scandalo delle fioriere” o “tangentopoli reggina” che investì la Città della Fata Morgana nel 1992.

 

In quell’epoca, l’intera Giunta Licandro venne arrestata (tranne il Licandro che si pentì e collaborò finendo anche tra la letteratura con il libro a 4 mani “La città dolente”) per aver preso tangenti da una ditta per la fornitura di fioriere del valore di 90 milioni di vecchie lire. Mio padre, all’epoca Consigliere comunale, se non ricordo male ancor prima che scattassero le manette alla Giunta, in aula a Palazzo San Giorgio, si alzò dallo scranno ed affermò che in qualche stanza le valigette entrano piene (di soldi) e ne uscivano vuote. Al processo che ne seguì, interrogato dal Giudice, si rifiutò categoricamente di rivelare chi ed in che circostanza gli diede la notizia. Adesso so che vi stupirò scrivendo, consapevolmente, che le sentenze si rispettano! Si discutono e si commentano, certo, ma si rispettano. Chiunque ne sia il soggetto destinatario, anche mio padre! Posso, per esempio, dire che per reati molto più gravi si rimane liberi (magari di reiterarli); posso, per esempio, dire che mio padre ha da poco compiuto 79 anni; posso, per esempio, elencare tante di quelle patologie gravi che affliggono mio padre da riempire cartelle cliniche di quasi tutte le specializzazioni mediche esistenti; posso, per esempio, dire che mio padre è stato riconosciuto invalido civile al 100% (senza diritto di accompagnatore e, quindi, senza indennizzo economico – diciamo l’opposto di qualche onorevole, ecco!); posso, per esempio, dire che ho difficoltà a credere che il regime carcerario sia compatibile con tutto quello di cui soffre e con tutte quelle medicine che io e mia madre gli abbiamo scrupolosamente preparato non dimenticando di appuntarli dosi ed orari. In nessun altro Paese civile, un giornalista che ha nel DNA la sete di Giustizia che ognuno di noi dovrebbe avere è, da oggi, recluso in un carcere! Sono orgoglioso di mio padre!”. Si scrive, dopo la morte di Bozzo, un’altra triste pagina del giornalismo calabrese. Nel completo silenzio dell’Ordine dei Giornalisti, cui presidente, (nonchè editore di diverse testate), Giuseppe Soluri non ha inteso spendere alcuna parola sulla vicenda. Un atteggiamento che la dice sulla tutela che l’ordine calabrese fornisce ai propri iscritti.

 

Solidarietà al collega Francesco Cangemi, detenuto nel penitenziario di Reggio Calabria, da parte dell’intera redazione di QuiCosenza.

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