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Caporalato, la testimonianza contraddittoria di uno dei teste “chiave”

Cosenza

Caporalato, la testimonianza contraddittoria di uno dei teste “chiave”

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Per ben tre volte Badije, 25 anni ha dichiarato tre momenti diversi in cui avrebbe abbandonato la fattoria e fatto ritorno presso il centro Santa Lucia. Per questo il giudice ha disposto una udienza in sede di supplemento istruttorio

 

COSENZA – Un testimonianza contraddittoria per alcuni versi, con le sue dichiarazioni in cui riferisce tre momenti distinti e separati dei tempi in cui ha smesso di lavorare a San Giovanni in Fiore. Doudo Badije, 25 anni siede in aula 16 davanti al Gip/Gup Santese chiamato a decidere per il rinvio a giudizio per 14 indagati tra cui due che hanno chiesto il rito abbreviato. Due ore sentito come teste a rispondere alle domande poste dallo stesso giudice, dal pubblico ministero e dalla difesa per cercare di chiarire alcuni aspetti che porteranno ad una decisione che segnerà una prima parte di questa inchiesta del caporalato, l’operazione dei carabinieri tra Camigliatello Silano e San Giovanni in Fiore, in provincia di Cosenza, che ha messo nel mirino della giustizia il Cas Santa Lucia e la fattoria così la chiama il giovane 25enne, una società agricola della famiglia Serra, difesa dall’avvocato Franz Caruso e Gianfranco Volpe, oggi “chiamati” davanti al giudice, ad essere giudicati con rito abbreviato. Doudu è aiutato da una interprete e cerca di rispondere a tutte le domande. Una udienza in sede di supplemento istruttorio disposto dal giudice per chiarire questa serie di divergenze verificatesi nelle dichiarazioni del teste.

Il 25enne risponde alle domande del Gip/Gup Santese e spiega nuovamente ciò che aveva dichiarato preceentemente ai carabinieri e all’avvocato ma spunta in aula una terza data in cui avrebbe smesso di lavorare. Come dichiarerà lo stesso giudice durante l’udienza “Oggi stiamo sentendo il teste perché in fase di indagini ha reso dichiarazioni divergenti quando è stato sentito dai carabinieri, successivamente dalla difesa perché si è costituito parte civile, e la divergenza riguarda il periodo in cui  ha prestato l’attività lavorativa. Praticamente quando è stato sentito dai carabinieri di Camigliatello lui aveva detto di aver lavorato da agosto fino a metà ottobre. Mentre successivamente ha dichiarato di aver lavorarto da agosto fino a metà dicembre. Oggi ha dichiarato di aver lavorato lì fino al 4 novembre”.

Un aspetto importante ai fini delle accuse perché il reato contestato, del caporalato: dal sei di novembre questo tipo di reato si estende anche agli imprenditori. Ma se la data accertata dal teste per come risulta dalle ultime dichiarazioni in aula risale al 4 novembre, il reato non si configura.

Doudu viene sentito dall’avvocato Vittoria Bossio il giorno 27 gennaio 2017 per indagini difensive perché il 25enne si è costituito parte civile e alla difesa ha dichiarato di essere andato via non a metà ottobre come aveva dichiarato ai carabinieri ma il 15 dicembre. In aula dichiara al Gip Santese che dopo il 4 novembre alla fattoria è ancora tornato e spiega che alla data dichiarata all’avvocato Bossio in realtà avevano continuato a lavorare i suoi compagni perchè lui era già lui era già andato via. Spiega ancora Doudu in aula che quando lavoravano presso la fattoria oltre alla raccolta delle fragole e fragoline, tagliavano la legna, l’erba, si prendevano cura delle pecore  e pulivano le stalle. In particolare ricorda che la raccolta delle fragole e fragoline continuava fino alle due e poi andavano a tagliare la legna. Dichiara ancora che dal 4 novembre fino al 15 dicembre, sette amici suoi erano alla fattoria e continuavano a lamentarsi perché gli veniva dato da mangiare una sola volta al giorno. Non venivano pagati regolarmente e accadeva più volte. Loro, dal 7 dicembre continuavano  a chiamare Luciano a San Giovanni in Fiore perché li venisse a prendere perché non volevano stare più nella fattoria. “Faceva freddo e non avevamo abiti pesanti da indossare. Chiesi alla fattoria se ne avevano, ma erano tutti sporchi e usati, alcuni li lavammo, poi provammo a riscaldarci almeno con la legna”

Il pubblico minisetro Manzini focalizza le domande sui documenti di soggiorno e sul registro presenza. Il 25enne racconta che dei documenti si occupava il signor Eugenio. All’arrivo in Italia non aveva documenti con se. Dalla fermata di Cosenza Nord furono presi da Fulvio su un furgoncino e accompagnati a Camigliatello. Per il permesso di soggiorno racconta “a spese proprie sono arrivati a Cosenza dove Eugenio li ha accompagnati in questura per la foto segnalazione. E hanno rilasciato il permesso di soggiorno”. Ancora Doudu spiega che nessuno, “ne Fulvio, né Luciano, né il padre di Giampaolo e Fulvio hanno preso il suo permesso di soggiorno; che per iniziare a lavorare non aveva mai firmato nessun documento ma che solo una volta si ricorda di aver firmato una carta in cui diceva di non avere mai lavorato.

Per il registro di presenza il 25enne ha dichiarato che al cas a Santa Lucia, a Camigliatello (la casa picola), “Firmava ma non tutti i giorni. L’uomo non stava lì tutti i giorni. Quindi quando veniva firmava per tutti i giorni passati. Quest’uomo era Eugenio”. Infine ha descritto la casa nella fattoria di San Giovanni in Fiore e spiega che nella casa c’era il bagno, la cucina e il gas, e cucinava lui per i compagni

 

 

Ha risposto poi alle domande del collegio difensivo spiegando che “Quando gli amici l’hanno chiamato era il 7 dicembre e cominciavano a lamentarsi e gli chiedevano di dire a Luciano di andare a prenderli. Però io non ho chiesto se stavano lavorando – sottolinea il 25enne – e cosa stavano facendo perché io sapevo la situazione. Io ho deciso di andare a trovare Luciano ma non l’ho incontrato. Ho incontrato la moglie e gli operai, uno dei quali parlava inglese e gli ho detto di spiegare a Luciano che siamo esseri umani e non animali. Dato che la moglie aveva la bambina, gli ho chiesto come si sentirebbe se suo figlio si trovasse in queste condizioni”. Sulle modalità del pranzo ha poi spiegato “Pranzavano con pasta e riso. Fulvio  – sottolinea Doudu – gli disse che dovevano lavorare la mattina; poi uno di loro doveva cucinare, portare il mangiare agli altri e poi ricominciare a lavorare. Alle 11 del mattino c’era la colazione con i biscotti e continuavano a lavorare fino all’una  dove lui andava a cucinare e poteva anche cucinare alle due, alle tre. Per cucinare non c’era orario, solo per mangiare c’erano trenta minuti di pausa. Qualunque fosse l’orario di cucina erano trenta minuti di pausa per mangiare e poi riprendere a lavorare”. Dudu anche se cucinava doveva farlo in un tempo breve perché gli altri dovevano mangiare e procedere. Mentre a Santa Lucia portavano il cibo dal ristorante. “Nel periodo in cui lavorava da ottobre a novembre a San Giovanni in Fiore la mattina era notte e quando finivano era sempre buio. Fulvio in ottobre ci diceva di finire perché alle sei inizia a fare buio prima”.

Ha spiegato ancora che il 4 novembre andò via verso l’una. Non mangiava da quattro giorni e si era accusato il furto dei pomodori all’interno della struttura, serviti per mangiare insieme ai compagni, “nonostante ci avessero detto che potevamo prendere quello che volevamo”. Per questa motivazione dalla fattoria di San Giovanni in fiore fu rispedito a Camigliatello. Spiega di averlo detto ai carabinieri ma non sa se lo hanno scritto nel verbale (nel verbale questa dichiarazione non è riportata va notare la difesa di Serra Fulvio e Giampaolo). Doudu poi sottolinea che “Forse non si sono capiti” con i carabinieri quando hanno scritto nel verbale che aveva lavorato fino ametà ottobre.

LE ACCUSE

Gli indagati devono rispondere dell’accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, abuso d’ufficio e tentata truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Tra i centri di accoglienza nel mirino degli inquirenti c’era il “Santa Lucia” a contrada Neto di Spezzano Piccolo. I responsabili del CAS dovranno anche rispondere della manipolazione dei fogli presenza dei rifugiati, che venivano dati come presenti nel tentativo di ottenere i finanziamenti previsti dalla legge a sostegno della struttura di accoglienza. Durante il blitz cinque migranti del centro furono trovati all’interno un’azienda agricola a San Giovanni in Fiore. Secondo le indagini i gestori dei CAS incassavano i soldi stanziati dal Governo per l’accoglienza e quelli delle aziende agricole alle quali fornivano la manodopera. Il Presidente e due responsabili della gestione di un Centro di Accoglienza Straordinaria sarebbero accusati di aver illecitamente reclutato i rifugiati, principalmente senegalesi, nigeriani e somali, a loro affidati, per essere impiegati in nero come braccianti e pastori in numerose aziende agricole del luogo, sfruttati a nero per 15 – 20 euro  per una giornata lavorativa di 10 ore.

 

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