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Giovani in fuga dal Sud che non tornano più, in fumo oltre 3 miliardi di investimenti
Non solo un danno ‘intellettuale’, ma anche economico sul piano degli investimenti. D’altro canto, perchè i giovani dovrebbero rimanere al Sud dove non trovano lavoro e dunque non hanno possibilità per costruire il loro futuro?
ROMA – Persi oltre tre miliardi negli ultimi dieci anni, perchè i nostri giovani scelgono di lasciare il Sud dopo un percorso d’istruzione di base, per completare la loro formazione su, al Nord, dove anche le possibilità di lavoro sono maggiori. Il mezzogiorno dunque, non solo ci rimette di ‘cervelli’ ma anche di tasse che migrano dagli atenei meridionali a quelli del Nord (due miliardi e mezzo) con un aggravio di costi per le famiglie notevole.
E’ un fenomeno purtroppo antico che non accenna a cambiare nonostante i proclami politici. I ragazzi del Sud scelgono le università del Nord per andare a studiare e il Mezzogiorno perde le generazioni del futuro. I numeri sono stati resi noti dal Censis per Confcooperative, e sono allarmanti se si considerano le tasse universitarie pagate in media, l’esodo degli studenti del Mezzogiorno nel solo ultimo anno ha drenato 122 milioni di euro di risorse dal sistema universitario meridionale. Di contro, le università del Centro-Nord hanno beneficiato di un valore aggiuntivo, determinato dal pagamento delle tasse universitarie, per 248 milioni di euro.
Oltre al danno, la beffa perchè gli atenei settentrionali hanno creato di conseguenza, una spesa aggiuntiva per le famiglie del Mezzogiorno pari a 126 milioni di euro, visto che le tasse universitarie negli atenei del Centro-Nord sono mediamente più alte.
“L’effetto di impoverimento delle università meridionali supera il miliardo di euro”, dice il Censis, cui si somma “un aumento della spesa per le tasse universitarie sostenute dalle famiglie pari a 1,2 miliardi e una disponibilità di risorse aggiuntive per le università del Centro-Nord che raggiunge quasi 2,5 miliardi”.
Effetti determinati dalla migrazione di massa dei ragazzi
“Nell’anno accademico 2014-2015 si sono spostati dal Mezzogiorno verso le regioni del Centro-Nord quasi 23.000 giovani universitari”: è come se una città come Enna, ma fatta soltanto di ragazzi, si fosse smaterializzata per ricomparire negli atenei settentrionali. “Nel 2010-2011 il flusso aveva interessato 27.530 immatricolati e nel 2006-2007 già superava le 26.000 unità. Nei tre anni accademici considerati la quota di immatricolati ‘emigrati’ per studiare al Centro-Nord si è attestata intorno all’8-9% del totale delle immatricolazioni”. A questo punto, gli iscritti hanno raggiunto un numero pari a una città di medio-grandi dimensioni: “Nell’anno accademico 2014-2015 gli studenti meridionali che frequentano le università del Centro-Nord hanno raggiunto la cifra di 168mila”.
Il Censis torna al 2013, quando ben 26.000 laureati hanno preso la strada delle regioni centro-settentrionali (età media poco sotto i 34 anni). Nello stesso anno, altri 5.000 laureati hanno lasciato il Mezzogiorno per andare all’estero. Quindi, in un anno, 31.000 laureati “hanno deciso di spendere altrove l’accumulazione di competenze acquisite sul proprio territorio di origine, determinando in questo modo un ulteriore impoverimento degli asset disponibili per il Mezzogiorno. Un investimento senza ritorno per il territorio”.
“Considerando che per l’Italia, la spesa per studente sostenuta dalle istituzioni pubbliche durante gli anni necessari a completare il ciclo dell’istruzione, a partire dalla scuola primaria fino alla laurea, è pari complessivamente a 108.000 euro (stima Ocse), il mancato ritorno dell’investimento realizzato dal nostro Paese, con riferimento ai 5.000 laureati meridionali che nel 2013 hanno lasciato l’Italia, è pari a 540 milioni di euro in un anno. Con riferimento ai 26.000 laureati meridionali che oggi vivono nel Centro-Nord, l’impatto economico può essere valutato in poco più di 2,8 miliardi di euro. In totale, si tratta di 3,3 miliardi di euro: una riduzione di opportunità per quei territori che hanno contribuito a formare un capitale potenzialmente strategico per il futuro”.
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