Cosenza
Laqueo, usura ed estorsione: Pellicori dal carcere risolveva le questioni
Il figlio della vittima di usura racconta di minacce di macchine bruciate ma non lo dichiara ai carabinieri e il pentito Pellicori racconta del giro di estorsione ed usura in città e della spartizione delle zone
COSENZA – Nuova udienza del processo Laqueo che vede imputati, con rito ordinario, Luisiano Castiglia, Giovanni Guarasci, Danilo Magurno, Francesco Magurno, Ariosto e Francersco Mantuano, William Sacco. Per gli inquirenti della Distrettuale antimafia che portarono a termine il blitz nell’agosto del 2016 si parlava di un’organizzazione criminale responsabile di usura ed estorsione aggravate dalle modalità mafiose e tentato omicidio, in riferimento al caso del fratello di Roberto Violetta Calabrese vittima di un attentato all’interno dell’esercizio commerciale che all’epoca gestiva in via XXIV Maggio, a Cosenza. Questa mattina in aula davanti al collegio presieduto dal giudice Carpino, è stato sentito il pentito Luca Pellicori e il figlio di una delle vittime di usura, un imprenditore edile cosentino, A.C., che ha risposto alle domande dell’accusa prima, rappresentata dal pm della Dda Antonio De Bernardo, e della difesa poi, rappresentata dagli avvocati Antonio Quintieri, Matteo Cristiani, Rossana Cribari, Pasquale Vaccaro, Pasquale Marzocchi, Amabile Cuscino e Renato Tocci.
Il teste ha risposto ai fatti inerenti le vicende a carico di Danilo e Francesco Magurno raccontando di alcuni episodi che non aveva dichiarato ai carabinieri del Ros all’epoca dei fatti. «Avevo una ditta edile fino al 2012, oggi lavoro in un panificio e sono dipendente. Nel 2013 lavoravo ancora in un altro panificio a Cosenza. Conosco Danilo Magurno e Franco: sono dei parenti e li ho conosciuti in base alla vicenda che ha subito mio padre di cui so ben poco perché mi ha raccontato sempre tutto all’ultimo…È stato sotto strozzo di queste persone»
Il teste non ricorda il periodo esatto, né la somma che il padre doveva restituire, dichiarazione riportata anche nel verbale del 12 agosto 2013, ma racconta quello che ricorda parlando anche della richiesta della vettura da parte dei Magurno per far fronte alla restituzione del denaro, particolare mai reso ai carabinieri. Afferma anche di avere saputo i fatti in ritardo perché il padre ha sempre cercato di nascondere tutto.
«Mio padre …il periodo giusto non me lo ricordo, ma me ne ha parlato. Nel 2013 lavoravo nel panificio e queste confidenze di mio padre ebbero già inizio. Non ricordo se il 2013 o 14 ho avuto minacce sul posto di lavoro. Nel 2013 già sapevo qualcosa. Le confidenze di mio padre: si trovava in questa situazione e vedeva come potevamo uscirne nel miglior modo possibile.
Se non ricordo male il Franco Magurno versò a mio padre la somma di denaro di 10 mila euro, ricordo approssimativamente. Doveva corrispondere una somma mensile sicura a titolo di interessi ma non ricordo i dettagli».
L’accusa a ricordo cita il verbale del 12 agosto 2013 presso i carabinieri Ros di Catanzaro a Cosenza “Da circa un anno sono a conoscenza che mio padre è debitore nei confronti di Magurno di una somma di denaro che non so quantificare, anche perché so che mio padre deve pagare l’interesse del 10% mensile”
LE MINACCE A CASA E SUL POSTO DI LAVORO
Il teste conferma la dichiarazione e poi aggiunge: «Fin quando abbiamo resistito al fatto di pagare ogni mese andava a buon fine; il problema è subentrato quando si è detto basta. Abbiamo avuto minacce a casa e io sul posto di lavoro. Io ero a casa con mamma e papà. A casa anche papà da solo non so se ha ricevuto minacce. Le minacce non ricordo se sono avvenute prima a casa e dopo al lavoro o viceversa.
LA FIGURA DEI MAGURNO
A casa i Magurno hanno cercato “l’imponenza dei soldi, cercare soldi, mettere pressione”. A casa ho aperto io ai Magurno. Noi abbiamo un locale magazzino sotto e un locale appartamento sopra. E Siamo saliti sopra
I Magurno mangiavano e bevevano a casa nostra, sono cugini di mia madre. I rapporti erano di lontananza ma nelle occasioni ci si ritrovava. Mia madre non sentiva i discorsi perché era al piano di sotto. Questo è l’unico episodio in cui c’ero io a casa. Mangiavano a casa nostra ma quando erano presenti si appartavano spesso con mio padre ma io non sapendo all’epoca i fatti, non posso dire perché si appartavano.
Quando sono arrivati a casa hanno chiesto la percentuale da pagare e se non veniva pagata avevamo delle conseguenze. Appena ho aperto siamo saliti sopra perché mia madre non sapeva dei fatti all’epoca. Hanno parlato con me e mio padre. Volevano le chiavi della mia macchina per bloccare la macchina.
Le conseguenze di cui parlavano erano in termini di tenerci sotto pressione, di impaurirci. Le parole non le ricordo ma le solite minacce “o ci dai i soldi o succede qualcosa” riferito alla nostra incolumità fisica. Lo dicevano entrambi. In quell’occasione volevano le chiavi della macchina. Si è conclusa con la disperazione di dire “dateci due o tre giorni di tempo…e non si sono presi le chiavi”
L’EPISODIO IN PANIFICIO
Poi l’episodio sul posto di lavoro con Danilo Magurno: è venuto sempre per la stessa somma che gli doveva mio padre; mi minacciava che mi avrebbe bruciato la macchina. Le altre frasi non me le ricordo.
Il pubblico ministero procede a contestazione “nella tarda mattinata del primo agosto 2013 si presentò il signor Magurno Danilo in modo agitato incurante della presenza di alcuni clienti, mi diceva che da oltre 20 giorni non riusciva a contattare mio padre e che sarebbe venuto direttamente a casa”. In quell’occasione non feci nulla. Ritornai a casa e lo dissi a mio padre. Non abbiamo più pagato perché non avevamo più nulla da dare. Non so per quanti mesi mio padre ha pagato.
Che io ricordi non sono stato più contattato con visite. Magurno mi ha chiamato sicuramente sul mio cellulare chiedendomi “se avessi riferito a mio padre ciò che mi aveva detto in precedenza”
La difesa di Magurno, l’avvocato Tocci, in controesame fa emergere come il teste non avesse mai parlato di minacce e richieste di chiavi della macchina, come dall’incontro avuto con Magurno il primo agosto fossero intercorsi solo 10 giorni prima del verbale che rende ai carabinieri il 12 agosto e di aver riferito al pubblico ministero solo oggi Lei che avrebbe riferito delle minacce “minacciata di averle bruciata la macchina”.
«Sono stato sentito dai carabinieri, che ricordi, una sola volta il 12 agosto 2013. Non ricordo se ho riferito della minaccia della macchina bruciata»
La difesa insiste sul punto: “Lei non ha fatto riferimento ad alcuna minaccia nel verbale “Si presentava Danilo il quale in modo agitato e non curandosi della presenza dei clienti mi diceva che erano oltre 20 giorni non riusciva a contattare mio padre e che dovevo riferirglielo altrimenti sarebbe venuto direttamente lui a casa”. Di minacce non ne parla solo di essere agitato. Perché non ha detto ai carabinieri della minaccia della macchina ricevuta che è saliente? Lei viene sentito a distanza di 10 giorni, un ricordo abbastanza fresco e non lo dice”.
Ancora la difesa dei Magurno riprende la visita ricevuta a casa della vittima dai Magurno. Più o meno la data? Quel giorno ha riferito all’accusa che avrebbero preteso le chiavi della macchina
«Non ricordo; in casa eravamo io e mio padre e mia madre. Abbiamo i magazzini sotto e l’appartamento sopra. Non ricordo se ha aperto mia madre o mio padre la porta, ma siamo saliti sopra. Non ho consegnato le chiavi della Ford Focus e questa circostanza non l’ho riferita ai carabinieri per vedere se riuscivamo ad uscirne fuori dalla situazione con mio padre».
IL DEBITO CONTRATTO DAL PADRE
«Il debito se non ricordo male era circa dieci mila euro – sottolinea il teste-. L’ammontare del debito non me lo ricordo quando l’ho appreso». Nella dichiarazione resa carabinieri si legge “so che mio padre è debitore di una somma di denaro che non so quantificare. Sapevo che era sotto ma non sapevo la somma”. «Sicuramente lo avrò appreso successivamente all’accaduto parlando con mio padre. Nel panificio erano presenti dei clienti ma non ricordo chi fossero».
Ancora si ritorna sui fatti accaduti nel panificio dove il teste era responsabile della vendita mentre il proprietario stava in laboratorio. «Non ricordo chi erano i clienti presenti. Magurno poi è andato via, i clienti mi hanno chiesto ma per la vergogna non potevo dirgli l’accaduto. Ma non so chi erano i clienti, non ricordo».
Ho incontrato Franco Magurno la data precisa non la so. Lo conoscevo poi c’è stato il primo periodo che avevano dato i soldi a mio padre che venivano spesso a casa e poi quando sono venuti a casa. Non ricordo se l’ho incontrato da solo Magurno Franco o con mio padre. A consegnare le somme di denaro era Magurno, più di mille euro. Venivano a casa o si trovavano a Cosenza da come mi ha raccontato mio padre. Può essere che c’ero anche io ad attendere in macchina ma non ricordo se gli ho mai consegnato soldi.
LA ZIA E I SOLDI DAL CANADA
«Mia zia mi ha fatto qualche regalo, dei soldi». Ma al di là di questa dichiarazione disconosce i soldi canadesi ricevuti sul conto corrente dalla zia. Fatto che ricorda la difesa in aula e al quale il teste non si è potuto sottrarre dal rispondere
“Non ha mai ricevuto a diecimila dollari canadesi, circa sei mila euro. E in un’altra circostanza 11mila dollari canadesi… E in un’altra occasione sei mila dollari canadesi?” «Non ricordo….sì, l’ho ricevuti! Per togliere lo strozzo. I soldi ricevuti sono andati tutti là. Non lo so perché li versava sui nostri conti correnti, forse mio padre ha chiesto aiuto. E’ stata sei mesi a casa nostra». Il teste risponde alla difesa sottolineando che non ha proposto nessun acquisto di beni alla zia, né ha mai chiesto al padre perché gli arrivassero quei soldi canadesi sul conto.
CLICCA PER APPROFONDIRE
PELLICORI LUCA E LE ESTORSIONI NEL COSENTINO
E’ stata poi la volta del pentito Pellicori, braccio destro di Marco Perna, assistito dall’avvocato Michele Gigliotti ai sensi dell’art.210 c.p.p. (persona imputata in un procedimento connesso)
«Facevo parte del gruppo Perna Marco di Cosenza, dedito al narcotraffico di stupefacenti. Nell’arresto del 17 ottobre 2014 per estorsione con Marco Perna mi hanno trovato a casa 500 grammi di cocaina, una pistola e un libro contabile: ho preso 5 anni e dieci mesi. In Apocalisse ho riportato tre anni e sei mesi il 18 luglio 2018 per droga (art.74 e 73) e poi sono stato assolto da poco per evasione con il bracciale elettronico quando sono andato a costituirmi dai carabinieri ed ho iniziato la collaborazione.
DROGA ED ESTORSIONE
Operavamo con il gruppo Perna a Cosenza e nelle zone limitrofe. Facevamo anche altri tipi di reati; prima del distacco di Falbo Alfonsino facevamo le estorsioni e se ne occupava proprio lui col gruppo Castiglia. Parliamo del 2009 – 2010. Poi il 2012 ci siamo separati. Alfonsino, il cognato di Perna Marco si è distaccato dal gruppo. Del gruppo ne facevano parte Perna Marco Falbo Alfonsino, Citro Francesco, Pellicori Luca, Mele Ernesto, Francavilla Pasquale, Giovanni Giannone. Le estorsioni le facevamo sulla zona di Cosenza ma la città era divisa. Era divisa in una cosca Rango Zingari e altre due cosche; a Rende la cosca di Di Puppo e roba varia. Per le estorsioni si erano divise le zone
GRUPPO CASTIGLIA MUSACCO
Il gruppo Castiglia – Musacco era composto da Mimmo Castiglia, Francesco Raimondo genere di Tonino Castiglia, Sandro Cozza nipote di Castiglia, Falbo Alfonsino prima del clan Perna si era associato col gruppo Castiglia Franco Cito. Mimmo è fratello di Tonino. Aveva una lavanderia vicino al macello vecchio di Cosenza.
Degli accordi della spartizione delle zone, nel 2012 quando si è allontanato Falbo, a Perna non gli stava più bene perché Falbo andava a ritirare i soldi a nome di Franchino Perna. Avuto la lite tra cognati, Perna mandò personalmente me a prendere la lista con tutti i nomi da Mele e Castiglia. Era stato sospeso tutto ma ancora andavano a ritirare il pizzo. Lo venni a sapere tramite un gommista che si lamentava che non ce la faceva perché avevano chiesto un aumento. Mi ha fatto intervenire a me, che sono andato personalmente io da Mimmo Castiglia e c’era Falbo che negava di andare a prendere i soldi là. E mi hanno dato tutta la lista dei negozi in cui andavano a prendere i soldi. Dopo una settimana la famiglia loro stava in grande difficoltà, Perna si lamentava che c’era galera a go go in queste cose qua e sono andato a dare la lista. Poi hanno messo due ragazzi a ritirare i soldi che ho trovato in carcere nel 2008.
LA LISTA DEI COMMERCIANTI SOTTO STROZZO
Io ebbi contezza delle estorsioni quando andai a prendere la lista. Posso dire anche i nomi dei negozi che pagavano a Cosenza. La lista me l’ha data a memoria Mimmo Castiglia e Falbo alla lavanderia. Mi sono recato io, Mele e Francavilla e abbiamo trovato a Citro, Falbo e Mimmo Castiglia. I fatti sono successi nel 2014 prima del mio arresto. C’erano delle lamentele perché chi era detenuto aveva bisogno di soldi in carcere. Le famiglie non avevano più le entrare e quindi Perna mi mandò a riconsegnare la lista dicendogli che non ne volevamo sapere più nulla di queste cose qua, ma di non prendersi i soldi a nome di Franchino Perna. La lista dunque è stata data mnemonicamente
Mimmo Castiglia era il referente del clan Castiglia Musacco. A fine mese si riunivano Falbo, Raimondi e Mimmo Castiglia facevano i conti e si dividevano i proventi, gli introiti dell’attività delle estorsioni a Cosenza Perna, Castiglia e Musacco
PELLICORI DAL CARCERE RISOLVEVA LE QUESTIONI ESTERNE SULLE ESTORSIONI
Cosenza era divisa Perna – Musacco – Castiglia. Quando lasciavano qualche bottiglia incendiaria e si sapevano, si andava a parlare dicendo “quello paga a noi” e si risolveva. Anche con gli altri gruppi capitava che non sapevano che pagavano a noi e ci provavano. Il negoziante si lamentava e noi ci andavamo a parlare. Pensate che mi chiamavano anche in carcere. Sono andati a chiedere con una bottiglia incendiaria l’estorsione ad una pompa funebre su via Popilia che ha battezzato mio figlia e sono dovuto intervenire io dal carcere direttamente. Ho chiamato chi era andato dal negoziante che mi ha detto è stato uno sbaglio, tutto apposto.
ESTORSIONE E DROGA
Le spartizioni erano dedicate alle estorsioni. Per la droga eravamo autonomi e non davamo conto a nessuno. Sono successe svariate situazioni in cui poi siamo giunti a compromessi. Noi i soldi li investivamo in droga e auto di grossa cilindrata da mettere in fitto. Oppure loro compravano e vendevano, barche, macchine di grossa cilindrata, appartamenti.
L’usura la faceva personalmente Falbo Alfonsino o qualche amico suo, ma non ne sono a conoscenza. Fino a quando non si è distaccato Alfonsino doveva dare conto della minima virgola a Perna. Poi si è messo vicino a Castiglia e per un periodo a Rango Zingari. Quando c’era la fiera di San Giuseppe a Cosenza si riunivano e si spartivano le zone.
CALABRESE E IL SOLARIUM
Roberto Calabrese Violetta aveva a via XXIV maggio un solarium dove lo avevano sparato alle vetrine. Ricordo che avevano incolpato me e Raimondo di averci sparato. Era vicino al gruppo Castiglia più che altro per la parte degli immobili, qualche appartamento da comprare. Non l’ho conosciuto direttamente. Era uscito da poco sul panorama criminale. Tramite sempre il mio gruppo criminale Falbo e Perna parlavano di questo che era capace di fare introiti con il settore edilizio per conto di Castiglia Mimmo.
Apprendo dal mio gruppo dei fatti quando gli spararono al centro di abbronzatura. Sono venuto a sapere che era vicino a loro. Non era uno che stava in mezzo alla via per estorsione. Sapevo che gestiva l’usura a Cosenza sempre per il gruppo Castiglia, Mimmo Castiglia. Noi avevamo preso già le distanze da Falbo Alfonsino ma mi avevano incolpato di essere stato io a sparare.
Parlando con Perna e Falbo faceva usura ed era bravo a fare queste cose di appartamenti e roba varia. Gestiva l’usura sempre per conto di Castiglia. Per conto proprio non poteva fare nulla. L’usura la faceva con i soldi di Castiglia. Questo l’ho appreso per il discorso già detto. Noi non ne volevamo saper nulla di chi fossero “clienti” di usura. Non ci appartenevano. Noi i problemi degli altri non ce li prendevamo. Quando venivano a parlare da noi varie volte noi ci facevamo negare. Avevamo fatto montare una porta blindata che divideva il lavaggio da un ufficio. Noi li vedevamo nelle telecamere. Davamo disposizione che quando arrivavano questi soggetti noi non c’eravamo per nessuno
Nella prossima udienza saranno sentiti i pentiti Foggetti Adolfo e Lamanna
https://www.quicosenza.it/news/le-notizie-dell-area-urbana-di-cosenza/cosenza/225779-laqueo-usura-ed-estorsione-la-vittima-mi-hanno-spremuto-come-un-limone
Social