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Multiculturalismo: ecco perchè purtroppo potrebbe diventare un incubo

Cultura & Spettacolo

Multiculturalismo: ecco perchè purtroppo potrebbe diventare un incubo

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Si può difendere la multietnicità senza dover per forza difendere il multiculturalismo?

 

Qualche giorno fa, Angelo Panebianco, sul Corriere della sera, sosteneva che se la multietnicità non rappresenta un pericolo per la democrazia di una nazione, lo stesso non si può dire per il multiculturalismo. Che le due cose abbiano ripercussioni e risvolti diversi fra di loro, non vi è alcun dubbio.
 
La multietnicità è un fatto quasi ineludibile, che può verificarsi a prescindere dalla volontà di ciascuno di noi e di qualsiasi governo, mentre il multiculturalismo dipende dalle politiche messe in atto da un determinato governo. Se si vuole, infatti, mantenere all’ interno di una società, che ha ridotto drasticamente la propria voglia o la propria capacità di procreare, un equilibrio tra forza-lavoro e popolazione anziana, sempre più in aumento, per garantire un benessere a tutti, è necessaria la presenza di nuove “leve” straniere.
 
Questa presenza, ovviamente, comporta l‘affermazione delle loro usanze, che potrebbero non essere gradite ai cittadini autoctoni , e potrebbero provocare una netta separazione, tra gruppi di etnie diverse, che condurrebbe inevitabilmente alla loro ghettizzazione. Il multiculturalismo inteso non come scambio di patrimonio di conoscenze, di espressioni artistiche, ma come mescolanza di usanze, di costumi e di tradizioni , cioè di civiltà, sembra portato a promuovere un pluralismo risultante più da una “diversità separata”, che da una “diversità integrata”. Anzi, come dice Sartori, “spesso esso stesso crea, magari inconsapevolmente, una società a compartimenti stagni e anche ostili fra di loro…divenendo non l’altra faccia dell’integrazione, ma la sua negazione”.
 
Il multiculturalismo così inteso renderebbe necessarie regole diverse, coerenti con le usanze di ogni gruppo etnico. L’accoglimento delle richieste di regole speciali, di trattamenti “ad hoc”, da parte di ogni minoranza culturale, porterebbe allo sbriciolamento dell’uguaglianza formale di fronte alla legge. Alcune loro usanze, tra l’altro, potrebbero confliggere con le leggi del Paese che ospita tali minoranze.
 
L’apertura di una nazione al multiculturalismo dovrebbe fare i conti anche con l’atteggiamento ostile di alcune minoranze culturali nei confronti della propria popolazione, e del fatto che in alcune di queste minoranze (quella islamica ad esempio) la società non si fonda, come nella maggior parte dei paesi occidentali, sulla separazione fra politica e religione, ma sulla loro totale sovrapposizione. Questo fatto comporta che i loro luoghi di culto, di fatto non svolgano solo la funzione religiosa, ma anche quella politica, cosa che a seconda dell’inclinazione del capo religioso di quella comunità potrebbe prevedere anche predicazioni farneticanti capaci di alimentare la crescita nel suo interno di fondamentalisti, la cui ostilità potrebbe trasformarsi in un progetto terroristico mirante ad eliminare quelli che nella loro delirante interpretazione della religione islamica (?) rappresentano degli infedeli.
 
In questa ottica per evitare il rischio di trovarci in quello che Panebianco definisce un “incubo multiculturale” sarebbe opportuno che venisse messa in atto una politica che preveda sì un’apertura ai migranti, ma mantenendo un’attenta vigilanza sulle situazioni che si verrebbero a creare. Dovrebbe essere garantito l’allontanamento immediato non solo di coloro che hanno mostrato idee fondamentaliste, ma anche di quelle persone che non hanno acquisito, con la loro permanenza nel Paese che li ospita, un atteggiamento favorevole per la sua cultura (che prevede anche un rapporto paritario tra uomo e donna), cosa che non significa doverla accettare per forza, ma quanto meno rispettarla, prima ancora di pretendere che venga accettata e rispettata la loro. Lo Stato ospite non dovrebbe effettuare deroghe alle regole della suo vivere civile, perché solo così potrà evitare che per quieto vivere, per noncuranza si possano affermare principi che risultano del tutto incompatibili con la sua consolidata e riconosciuta democrazia.
 
Questo fenomeno andrebbe affrontato, innanzitutto, con il buon senso, senza isterismi antiimmigrati, spesso motivati dal timore di perdere l’identità del popolo di origine di quella determinata nazione, anche perché l’uniformità di identità genetica, almeno in Italia (ma non solo), si è già persa durante i secoli passati, come dimostra uno studio recente sul DNA di un campione di popolazione, condotto dall’antropologo Davide Pattener dell’Università di Bologna.
 
Ovviamente, se fra qualche decennio si dovesse verificare che una di queste minoranze diventasse maggioranza, non solo numericamente, ma anche da un punto di vista di conquista del governo, in maniera democratica, non solo per un’improvvida politica di apertura indiscriminata ai flussi di migranti, ma soprattutto a causa della denatalità della popolazione originaria del Paese inizialmente ospitante, allora potrà verificarsi in maniera del tutto legittimo un cambio di usanze e di costumi, ma questa è un’altra storia…possibile, anzi… probabile.

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