Cultura & Spettacolo
Pausa di Riflessione – Un padre e i suoi sensi di colpa
Mai come in questo periodo i genitori sono stati così sommersi da informazioni e suggerimenti su quella che dovrebbe essere la loro condotta nell’educazione dei figli.
E’ tutto un fiorire di figure professionali (?) che si interessano di questo argomento. Da quella del pedagogo, dello psicologo, del sociologo, del logopedista, a finire a quella delle tate televisive e a quella dell’esperto/a di turno, spesso un personaggio più o meno famoso del mondo dello spettacolo che, otre a non avere titoli per farlo, il più delle volte, non ha neanche figli. Ognuno ha la sua ricetta. I padri, più delle madri, sembrano subire questa pressione e, a volte, percepiscono l’universo dei figli come un mondo impenetrabile, tanto da sentirsene esclusi. Avviene un po’ come avveniva per i padri delle precedenti generazioni che, però, a differenza di quelli di oggi, accettavano di buon grado questa esclusione, forse perché alla fine la cosa tornava loro comoda.
Oggigiorno, i padri avvertono un senso di inadeguatezza che, unito al timore che qualche loro gesto possa determinare nei figli danni irrimediabili ed irreversibili, provoca in loro un travaglio interiore, tra dover scegliere di rimettere il mandato di educatore nelle mani della moglie, che diventerebbe così l’unica depositaria delle regole da impartire, o cedere al richiamo del senso di responsabilità che li riconduce ai loro doveri. L’età più matura dei padri di questo nuovo millennio, il più delle volte, li porta a fare la seconda scelta, pur di sottrarsi alla tirannia del rimorso, consapevoli del fatto che non riuscirebbero a reggerla.
Tornando alle regole educative, c’è da dire che anche nei secoli passati esse erano in voga, tanto da essere oggetto di opere a carattere pedagogico, sebbene in quei casi, la sollecitazione a tenerle in debito conto fosse rivolta più che ai genitori, ai precettori, ai quali venivano affidati i figli di persone appartenenti alle classi sociali più alte. Oggi, questa esortazione ad attenersi a delle regole nell’educazione dei figli investe la maggior parte dei genitori. Ma, forse, la prima regola che si dovrebbe tener presente, è di evitare il sovraccarico di regole, che rischierebbe di farle disattendere tutte, in quanto un numero elevato renderebbe insofferente chiunque e, poi, comporterebbe il rischio che tra tante ve ne possa essere qualcuna sbagliata. Ci si potrebbe limitare, piuttosto, a dare solo quelle che mirano al rispetto per il prossimo e a scongiurare situazioni di grave pericolo.
Ovviamente, anche un padre dovrebbe lui stesso rispettare delle semplici regole, come ad esempio non cedere alla tentazione di voler essere amico di suo figlio, magari assumendo atteggiamenti giovanilistici, o mostrare soddisfazione se questi lo imita in ogni cosa, perché ciò sarebbe un fatto del tutto innaturale, in quanto la loro visione del mondo non può coincidere, sebbene queste due visioni debbano confrontarsi senza il timore di non capirsi. E se è giusto trovare dei compromessi, non bisogna, però, cadere in estenuanti discussioni con tentativi di negoziazione, o di corteggiamenti patetici, sentendosi come quegli innamorati respinti dal partner. Sono da evitare le imposizioni o i diktat, che come unico effetto spesso sortiscono quello di interrompere la comunicazione e, quindi, di provocare un allontanamento, che può produrre una frattura insanabile del rapporto, rischiando di renderlo irrecuperabile. Semmai, un padre dovrà fare in modo che il figlio avverta che non lo perderà mai, qualsiasi cosa avvenga.
Per svolgere il suo compito un padre potrà fare affidamento sulle sue uniche risorse, la sua credibilità, la sua coerenza e la sua serietà, capaci di dargli, da sole, una certa autorevolezza che, essendo cosa ben diversa dall’autoritarismo, gli verrà riconosciuta dal figlio. Questa autorevolezza non è, però, un diritto acquisito passivamente, ma è qualcosa da conquistare, senza necessariamente dover prevedere eccessive generosità o punizioni immotivate. Tenendo presente che un padre non deve impartire lezioni, ma spartire esperienze, solo così potrà assolvere quella che è la sua vera missione: trasmettere un patrimonio morale. Per farlo basta essere un buon modello di riferimento, non un eroe: il modello insegna a vivere, mentre l’eroe spesso insegna a morire. Inoltre, anche se è vero che chi genera un figlio non è ancora padre finché non se ne rende degno, non deve però diventare un cruccio, né instillare sensi di colpa, il fatto di poter avere, qualche volta, la sensazione di non esserlo.
Tra l’altro, può tranquillizzare un fatto, che nella maggior parte dei bambini c’è una capacità personale di venir fuori nel migliore dei modi da situazioni di difficoltà. Non è un caso che bambini, rimasti orfani in tenera età, sono diventati dei grandi uomini. Non deve essere neanche motivo di preoccupazione la presenza, durante l’adolescenza, di atteggiamenti di ribellione, che possono, a volte, creare momenti da sembrare ingestibili, capaci di far perdere ad un padre il controllo della situazione e di fargli mettere in discussione la sua capacità educativa. Si tratta, infatti, di comportamenti dovuti al distacco che gli adolescenti devono mettere in atto, per entrare in una comunità più grande, come quella dei pari, dove possono acquistare la loro identità personale.
Proprio per questo, un padre dovrà mettere in conto che il dialogo e il confronto, nel periodo dell’adolescenza, subirà un brusco rallentamento e che questa situazione, purtroppo, durerà abbastanza a lungo. E se comunque, in quei momenti, prenderà il sopravvento il senso di sconforto o, peggio ancora, quello di colpa, per non aver svolto bene il proprio ruolo, potrà consolarlo un fatto che sembra ormai certo: quanto migliore è stato il rapporto con i propri genitori nell’infanzia, tanto più traumatico sarà questo distacco e più intensa la ribellione.
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