COSENZA – Francesco Porco, classe 1982, è per tutti semplicemente Porcopò. Dietro questo soprannome che strappa sempre un sorriso, c’è molto di più che un fenomeno social che “buca” gli smartphone dei cosentini (e non solo) con le sue esilaranti gag video, nelle quali mostra con orgoglio la sua “creatura” che ha da poco compiuto un anno di vita: “la Locanda di Porcopò”, trattoria con cucina tipica cosentina in via Rivocati. Anzi, come ci tiene a dire lui “Ari Rivucati”, rione storico di Cosenza a due passi dal Comune e dal centro storico. «Sono di via Popilia ma in questo quartiere ci sono praticamente cresciuto. Qui ho frequentato le scuole, qui giocavo a pallone, qui avevo gli amici e non poteva esserci nessun altro posto se non questo per aprire la mia locanda».
Tra Tik Tok e Instagram, viaggia verso i 100mila follower con oltre 2 milioni di interazioni sui video che pubblica con cadenza quasi giornaliera, dove mostra con orgoglio, tra gag, scherzi e genuina ironia, tutta la sua cosentinità non solo attraverso la cucina e i prodotti tipici che sceglie personalmente, nei vari negozi della città, ma anche Cosenza, le sue mille facce e i personaggi che la vivono.
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Porcopò e gli sfottò ai tifosi del Catanzaro con la frase “Ma tu pitti?”
Ma come è nata questa sua passione per i social? «Io sono così come mi vedete, con il sorriso, ironico e sempre pronto alla battuta. Quando ero su, al Nord, per lavoro – racconta – gli amici di altre regioni mi dicevano sempre di aprirmi un profilo su Tik Tok». E lo ha fatto iniziando a postare video e diventando virale con i suoi sfottò ai tifosi del Catanzaro ed in particolare per i botta e risposta esilaranti con Jon Botta. Poi chiudeva sempre i reel con quello slang che ha fatto il giro della città: “ma tu pitti?“.
E Francesco spiega l’origine di quella frase: «devo dire la verità, non è farina del mio sacco. Era una parola che diceva sempre un mio amico fraterno. Ho visto che aveva preso piede e, quindi, l’ho usata alla fine di ogni video. Alla fine, gli sfottò restano tali e con tante persone ci siamo visti e abbiamo mangiato insieme. L’importante è che tutto resti circoscritto al fenomeno dello sfottò calcistico». Ed a proposito di calcio, di derby e del Cosenza. Nessun commento sulla situazione dei rossoblù retrocessi in serie C: «mi avvalgo della facoltà di non rispondere».
Il Nord, il ritorno e la sua locanda che diventata famiglia
Per diversi anni è stato lontano dalla sua città e dai suoi affetti più cari, ma ora che è tornato, vive tutto a 360 gradi. Ha lavorato al Nord nei mercati tipici facendo street food. Poi è rientrato ed ha scelto di rimettere radici proprio dove il cuore gli batte più forte: la sua Cosenza. Con determinazione ha scelto il modo più “gustoso” per proporre alle persone le eccellenze enogastronomiche di questa straordinaria terra.
Ha aperto la locanda e l’ha trasformata in poco tempo in un posto che per lui significa famiglia, allegria e sorrisi, grazie anche al suo staff fatto di amici veri. «Con alcuni di loro ci conosciamo da più di 30 anni. Sono ragazzi che come me hanno sempre la battuta pronta e mi piace coinvolgerli: la locanda non è solo Porcopò ma sono tutti i collaboratori».
Il mio più grande orgoglio? Quando arrivano turisti da tutta Italia
«La cosa più bella sono le telefonate che ricevo da persone che arrivano da tutta Italia e che mi dicono: prenotami un tavolo per 4 che, come scendo giù in Calabria, la prima tappa la faccio da te. Turisti che si fermano sì a mangiare, ma al contempo visitano la nostra città e il centro storico. L’altro giorno sono arrivati dei turisti australiani. Per me è motivo di vanto e orgoglio e non nascondo che c’è anche un pò di emozione, perchè vedi persone che ti seguono e ti vogliono bene».
Il successo porta inevitabilmente delle invidie. «Dispiace che le critiche a volte arrivino da colleghi, ma a loro rispondo con un ‘no comment’. A me basta vedere ogni sera le persone felici e soprattutto i bambini che ti chiedono di scattare un selfie».
Il cuore solidale: lavoro ai ragazzi in difficoltà e un pasto caldo
Ma c’è un aspetto che va oltre la goliardia, la cucina e i video su Tik Tok, anche se Francesco non ama sbandieralo ai quattro venti: la solidarietà. «La beneficenza si fa in silenzio senza trasformarla in un’occasione di visibilità». Ha aiutato i ragazzi del quartiere, ha dato lavoro a giovani in difficoltà, a ragazzi che nessuno voleva assumere magari per il loro passato, ad altri ancora ha trovato un tetto sotto cui dormire.
E poi i pranzi solidali. A Pasqua ha distribuito alle persone bisognose 120 buste con all’interno prodotti alimentari «un contributo seppur modesto che serviva, specie nel periodo pasquale, a far sentire un po’ di calore e vicinanza alle persone». E cosa vede nel futuro Prorcopò? «Il sogno è allargare i miei orizzonti, ma sempre rimanendo con i piedi ben piantati a terra. Il desiderio sarebbe quello di riuscirci, altrimenti va bene anche così».
Non cerca applausi ma sorrisi e la sua tavola è sempre piena, di chi ha bisogno, ma anche di chi ha voglia di sentirsi parte di qualcosa perchè, come ama ripetere «Addi mangianu tria ponnu mangià puru quattru».

