PARMA – È morto a 69 anni, nel carcere di Parma, Ettore Lanzino, considerato il capo indiscusso della ‘ndrina che operava a Cosenza e Rende. La sua figura era legata alla storia delle cosche bruzie proprio per esserne stato il capo fino al suo arresto, avvenuto poco più di 11 anni fa .”Ettaruzzu”, come veniva soprannominato si è spento nel carcere emiliano dove era detenuto dal 2012 in regime di 41 bis. Ettore Lanzino soffriva da tempo di una grave patologia cardiaca.
La cattura nel 2012 in un Residence di Rende
L’ex “primula rossa”, latinate da 4 anni, venne catturato a 57 anni dai Carabinieri nel novembre del 2012 all’interno del condominio ‘Residence park’ di via Adige a Rende. Si nascondeva in una mansarda. – Su di lui pendeva la condanna all’ergastolo emessa dalla Corte d’Assise di Cosenza perché ritenuto il mandante degli omicidi di Marcello Calvano e Vittorio Marchio, trucidati nel 1999, nell’ambito della guerra di mafia per la spartizione degli appalti pubblici nell’area del Tirreno cosentino. A lui i carabinieri del Ros arrivarono dopo mesi e mesi di pedinamenti e intercettazioni e dall’analisi dei dati acquisiti. Era ricercato per quattro ordinanze di custodia cautelare per associazione mafiosa e omicidio. Lanzino era inserito nell’elenco dei 100 ricercati più pericolosi. Assieme a lui c’era quello che gli investigatori indicarono come il suo luogotenente, Umberto Di Puppo, che venne arrestato per favoreggiamento.
Condannato all’ergastolo con sentenza definitiva per gli omicidi di Francesco Bruni, Vittorio Marchio e Marcello Calvano e a trent’anni per la uccisione di Enzo Pelazza, Lanzino era un capo carismatico proveniente dalla sanguinosa cosca un tempo guidata dal potente capobastone Franco Pino, divenuto poi collaboratore di giustizia nel 1995. Cosa che Lanzino non fece mai, riuscendo negli anni ad avere il controllo del cartello criminale che dominava gli affari illeciti dell’area urbana e della Provincia più grande della Calabria. Poco più di un anno fa il suo nome figurava tra le richieste di condanne per gli imputati del procedimento scaturito dall’inchiesta “Reset“, coordinata dalla Dda di Catanzaro sulla presunta presenza di una Confederazione di ‘ndrangheta cosentina formata da sette diversi gruppi criminali.

