‘Ndrangheta, coinvolto per mesi nell’inchiesta Aemilia per un caso di omonimia

I pm hanno chiesto di archiviare la sua posizione dopo che legale ha eseguito la visura societaria.

 

BOLOGNA – Per uno scambio con un’altra persona con lo stesso nome e cognome, ma di età diversa e di diverso luogo di nascita, è stato coinvolto per mesi nell’inchiesta di ‘Ndrangheta ‘Aemilia’. Senza che né la Procura se ne accorgesse, né la cosa emergesse quando per due volte i giudici hanno vagliato la sua posizione. E’ il caso di Giuseppe Ruggiero, 47 anni, originario di Cutro, padre di sette figli e residente da venti anni in Germania. Nell’indagine che ha portato ad un’udienza preliminare con 240 imputati, a Ruggiero era contestato l’impiego di beni di provenienza illecita, aggravato dall’aver agito per agevolato la cosca del Grande Aracri. L’accusa era nata da una presunta partecipazione ad una società a responsabilità limitata: per lui la Dda chiese la custodia cautelare in carcere, istanza respinta dal Gip non per l’errore di persona, ma perché si considerò marginale la partecipazione all’attività delittuosa. La Dda allora fece appello al Riesame, che confermò la decisione del Gip, ancora una volta senza constatare l’omonimia.

 

Al termine delle indagini, grazie ad una memoria del suo difensore, Roberto Filocamo, con allegata una visura societaria, emerse che la persona legata alla Srl aveva lo stesso nome e cognome dell’indagato, ma differente data di nascita. La Procura a quel punto ha chiesto l’archiviazione. “Lo sfortunato Ruggiero e la sua famiglia hanno vissuto mesi di angoscia a casa del suo accostamento ingiustificato a vicende di carattere mafioso e con il pensiero che solo il caso ha evitato una sua assurda detenzione“, commenta l’avvocato. Per l’avvocato questa “è solo una delle allarmanti conseguenze del maxi processo o processo-elefante”. Il legale fa inoltre notare che “neanche una parola è stata spesa per cercare di tutelare l’immagine di una persona finita erroneamente nel calderone degli indagati. La scrupolosità degli accertamenti su tutti gli oltre 200 indagati propagandata dalla Procura – prosegue – non ha consentito di fare durante il lunghissimo periodo di indagini neanche una banale visura societaria”. Per Filocamo “le dimensioni del processo, che avrebbe potuto ragionevolmente essere suddiviso in più tronconi, isolando le posizioni più rilevanti e garantendo un iter quantomeno semi-ordinario e non improntato in tutto all’eccezionalità, hanno determinato e continuano a determinare distorsioni e aberrazioni. Ci sono posizioni così marginali da rendere davvero incomprensibile il mancato stralcio”.

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