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Il pentito racconta il suo romanzo criminale
COSENZA – La “compilation” del malaffare. Da quando Roberto Violetta Calabrese, 49enne, depositario di molti segreti delle cosche
cittadine, nonchè a conoscenza di intrecci e rapporti tra l’Antistato e l’imprenditoria collusa, ha deciso di “cantare”, uomini d’onore, padrini e picciotti hanno cominciato a tremare. Calabrese, dopo essere stato destinatario di un “avvertimento” (alcune settimane fa, infatti, i “postini” della mala, hanno sparato diversi colpi di pistola, tra l’altro in pieno giorno, contro i vetri del solarium di via XXIV Maggio, riconducibile a suo fratello, ndr) ha deciso di accelerare il suo percorso di “accordo” con lo Stato, recandosi dai carabinieri e chiedendo di “confessarsi” con i magistrati dell’Antimafia. Le procedure di “ascolto” dell’aspirante pentito sono state immediatamente attivate e, nel giro di appena qualche ora, i sostituti procuratori della Dda di Catanzaro, Vincenzo Luberto e Pierpaolo Bruni (tiolari delle inchiesta di ‘ndrangheta nel Cosentino, ndr) hanno raccolto le testimonianze del 49enne, per il quale sono stati disposti tutti i servizi di protezione personale e familiare. La “gola profonda” sta raccontando, in ore e ore di interrogatorio, il sistema “affaristico” della mala: riciclaggio di denaro, reinvestimento dei capitali “sporchi” e un vorticoso giro d’usura. Un sistema di strozzinaggio, abbastanza collaudato, considerato che, da numerose analisi sul fenomeno mafioso, è emerso che i “cravattari” hanno bilanci a diversi zeri, quasi quanto una manovra finanziaria statale. Il sistema è semplice: i boss ordinano ai loro “galoppini” di fare la mappa dei cantieri e di “bussare” a soldi. Una richiesta di pizzo in cambio della sicurezza. La sicurezza che il cantiere non sarà “visitato” e che pagando e senza fare storie o chiedere sconti, i palazzi in costruzione continueranno a crescere, senza problemi. Alcuni imprenditori (pochissimi purtroppo, ndr) rifiutano e denunciano pressioni, visite e minacce alle forze dell’ordine, altri invece accettano. Non solo. Il sistema prevede che gli imprenditori in difficoltà economica vengono aiutati. I soldi sono liquidati in meno di 24-48 ore. Il tasso di interesse calcolato sul prestito è altissimo. Chi non ce la fa, a stare in regola con i pagamenti, paga una “tassa” salatissima: intimidazioni e minacce. O, in alcuni casi, le cosche, o meglio quegli imprenditori, falsamente perbene, ma sul libro paga dei padrini, impongono a chi s’è rivolto a loro, di diventare soci in affari, scippandogli di mano, quote azionarie e capitali. Roberto Violetta Calabrese, sta facendo nomi, cognomi, indicando date, specificando cantieri e raccontando di prestiti attivati e pratiche da “risolvere”. Ma nel racconto del “romanzo criminale” cittadino, ci sono anche diversi capitoli “macchiati” di sangue. Come il paragrafo che riguarda Luca Bruni, reggente dell’omonima e famelica cosca cosentina, “inghiottito” nel nulla nel gennaio del 2012, e dell’agguato, datato luglio 2002, contro Carmine Pezzulli, il contabile delle cosche, punito per aver “ripulito” la bacinella dei clan. Secondo il racconto del 49enne, ad emettere la sentenza di condanna contro Bruni, sarebbero stati Franco Presta e Ettore Lanzino, mentre Pezzulli, sarebbe stato condannato a morte in una camera di consiglio del tribunale della ‘ndrangheta presieduta dal “padrino” Domenico Cicero ed eseguita da Davide Aiello. Tra i tanti affari delle cosche, c’è anche la droga. Con una precisa gestione nello smercio di eroina e cocaina: la prima è smerciata in “accordo” con la criminalità rom, la coca, invece, è solo “affare” della mala cosentina. Il 49enne continua a”cantare”, mentre le cosche tremano e lo Stato dichiara guerra a padrini, mammasantissima, uomini d’onore e picciotti. Senza dimenticare gli insospettabili.
LA PACE CON LO STATO – Il pentito scampato alla trappola. Roberto Violetta Calabrese, 49 anni, sapeva di dover morire. I segnali erano precisi, le “voci” inconfondibili. Qualcuno – come si dice in gergo mafioso – l’aveva già «posato ». Era solo questione di tempo: giorni, forse qualche settimana. Un vecchio amico l’aveva pure avvisato: “cambia aria che fai una brutta fine!”. A Calabrese piacevano gli affari sporchi. Lui con i soldi ci sapeva fare, era abituato a farli fruttare come gli alberi. I carabinieri l’avevano già capito quindici anni addietro conducendo una articolata indagine – “Usura 2” – che l’aveva lambito. Ora, però, Calabrese s’era messo a manovrare denaro delle cosche e con amici e “compari” governava il mercato parallelo dei finanziamenti illegali nell’area compresa tra Cosenza, Rende, Montalto, Castrolibero e Mendicino. Una vita comoda la sua, ma rischiosa. Una vita che diventa particolarmente pericolosa soprattutto quando si vuol strafare, oppure quando si sbaglia a investire soldi che scottano. Soldi dei boss che, poi, bisogna restituire altrimenti si finisce “in pasto ai pesci”.
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