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Sulle sponde del Crati “scorre” la vita degli invisibili

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Sulle sponde del Crati “scorre” la vita degli invisibili

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COSENZA – Il fiume racconta … storie di ordinario disagio. Le rive del Crati, di vite in fuga ne hanno viste tante. L’acqua del fiume di confidenze ne ha ascoltate tante e

chissà quante volte lo stesso scorrere del fiume ha tenuto compagnia a quelle persone che, per scelta personale, per decisione della vita, per indifferenza delle famiglie o per cecità generale della società, hanno scelto di vivere ai margini. Il fiume è diventato tutt’un tratto la “casa” degli invisibili. Con il passare del tempo, gli inquilini sono aumentati. Un tempo c’erano solo i rom, provenienti dalla Romania, oggi ci sono anche gli italiani. Gli ultimi “inquilini” del fiume sono Elisa, Mirko e Graziel, diventati amici per sostegno, diventati gruppo per difendersi, diventati squadra per vincere la sfida più difficile che la vita gli ha messo davanti. Elisa è sarda di nascita, ma giramondo per adozione. Ha viaggiato talmente tanto che la sua inflessione dialettale è completamente sparita. E’ stata talmente tanto in giro per l’Italia che mentre parla, in una frase o in un discorso ci infila sette o otto linguaggi dialettali differenti. La sua è una vita segnata dal dolore e dalla sofferenza. Fin da piccola. Quella sofferenza che ti si attacca addosso e che non va più via, quel dolore che germoglia dentro di te, fino a succhiarti l’anima. Elisa è ferita ma combattiva. Lei è di poche parole, soprattutto perchè la “strada” ti insegna a vivere e ti insegna anche a non fidarti. Davanti ad un caffè caldo e ad un pacchetto di sigarette si scioglie, così come si sciolgono le ultime sue resistenze e diffidenze. Il taccuino non le fà più paura, la macchina fotografica sì. Elisa è giovane, ma la sua età è indecifrabile. I segni della sofferenza sul volto le hanno modificato i tratti somatici. “Ho smesso da una vita di sentirmi bella, mi interessa molto di più sentirmi viva. Ogni giorno è una lotta con la vita. Si va avanti perchè c’è una larga parte di Cosenza che ci sta vicino, ci aiuta, ci fa sentire calore, affetto e solidarietà. Per tanti altri, siamo invisibili”. Mentre parla, Elisa accende una sigaretta dopo l’altra. “Il fumo che mi arriva negli occhi, che sento nella gola e che mi passa nel naso, mi fa sentire viva. Avevo 7 anni quando mio zio abusò di me. E chi se lo scorda quell’incubo”. Già l’incubo. E’ un incubo che mi segue da una vita. “Quella violenza ha scatenato in me, reazioni a catena. La ferita più grande, oltre ad essere stata umiliata nel fisico, nella mente e nel corpo, è stata quella di non essere stata creduta dalla mia famiglia. Mi accusarono di essermi inventata tutto. Da allora la frattura con i miei è diventata insanabile. Litigi, incomprensioni, cacciate di casa. I miei, addirittura, pur di non farmi entrare in casa, cambiarono anche la serratura. A 14 anni rimasi incinta. Credevo che fosse amore vero, invece, erano solo botte. Tante, troppe. Il mio ragazzo, nonchè padre di quella creatura che avevo in grembo me ne diede così tante, da farmi svenire, sbattere la testa e abortire. Mi svegliai in ospedale, avevo una flebo attaccata al braccio e la maschera dell’ossigeno sulla bocca. Un medico mi disse che avevo perso il bambino”. E poi? “E poi, è poi il dramma è continuato. Avevo tanta rabbia dentro, volevo riprendermi la mia vita, ma l’infanzia, la spensieratezza, l’allegria non te la restituisce nessuno. Salivo su un treno e raggiungevo destinazioni ignote. Da Cagliari ad Alghero, fino a Padova. Lì conobbi un ragazzo di Rossano, anche lui in fuga, forse come me più dagli altri che da se stesso o viceversa. Diventammo subito amici, ci proteggevamo reciprocamente. Quello che trovavamo dividevamo. Poi decidemmo di venire a Cosenza. Ci parlarono dell’Oasi Francescana, ne avevo sentito parlare quel via di quel famoso padre Fedele. Tentammo di entrare, ma fummo scacciati via come dei topi”. Elisa, mentre parla si deve fermare. Il freddo, le botte, le notti passate all’agghiaccio l’hanno indebolita. La tosse è forte. Quella tosse che, mal curata, s’è trasformata in asma. Ma non solo è sopraggiunta anche una forma di epilessia. “Mi servono delle medicine, ma nessuno me le dà. Quando mi metto per strada a chiedere l’elemosina, raccolgo pochi spiccioli e tanti insulti. La gente me ne dice di tutti i colori. Dovrebero pensare che sono un essere umano e che ho una mia dignità. Vorrei trovare un lavoro, qualunque esso sia. Ho voglia di rimettermi in gioco, di rimettermi in piedi e di riprendermi la mia vita. Ma mi serve un punto d’appoggio da cui partire. Spero di farcela. Per il momento parlo con il fiume e aspetto Mirko e Graziel”. Mentre finiamo la chiacchierata, un gruppo di ragazzi s’avvicina ad Elisa. Sono i volontari di un’associazione che si occupa di chi è in difficoltà. la ragazza non crede ai suoi occhi. C’è la spesa, ci sono le coperte, ci sono dei maglioni, ci sono delle felpe e tante sciarpe. Le dividerò con Mirko e Graziel. Ha ragione Elisa, solo i bisognosi conoscono la solidarietà, quella dal volto vero.

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