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Uccise una donna, la difesa: «non è imputabile, è pazzo»
COSENZA – Non imputabile perchè pazzo. Strano, però. Uno che è pazzo, o meglio definirlo, incapace di intendere e di volere, nel mentre commette un delitto, riesce ad essere così pienamente lucido e calcolatore da progettare perfino l’evasione dal carcere.
Potrebbe concludersi con un nulla di fatto, il processo a carico di Gianluca Bevilacqua, il 35enne di Roggiano Gravina, che la mattina dell’8 ottobre di un anno fa, travolse e uccise con la propria autovettura la compaesana Emilia Cupone per motivi che non sono stati mai chiariti. Gli avvocati difensori del 35enne, i penalisti Carlo e Lucio Esbardo, hanno dimostrato, attraverso referti, relazioni e perizie mediche, che il loro assistito non può essere processato perchè incapace di intendere e di volere. Bevilacqua uccise la Cupone per futili motivi per quanto mai chiariti. I due ebbero un diverbio, forse per una sigaretta, e nella testa dell’uomo scattò qualcosa che lo spinse a commettere un gesto di incredibile malvagità: travolse più volte la donna con l’autovettura massacrandola. Il fatto accadde a Roggiano Gravina la mattina dell’8 ottobre del 2011, in via Vittorio Emanuele. Pochi dubbi sulla dinamica, confermata anche dalla sequenza delle immagini che “immortalarono” i frame violenti. I filmati registrati da una telecamera posta nei pressi di una tabaccheria e prontamente acquisiti dai carabinieri della stazione di Roggiano, agli ordini del maresciallo Porchia, dimostrano che Bevilacqua investì volontariamente la Cupone. Bevilacqua venne arrestato nell’immediatezza del delitto e successivamente rinchiuso nel carcere Pagliarelli di Palermo, dotato di una sezione per malati psichici. Qui l’imputato, nonostante i problemi psichici, progettava l’evasione. Venne scoperto grazie ad alcune intercettazioni ambientali: l’imputato, durante i colloqui con i familiari, manifestò l’intenzione di simulare condizioni di salute incompatibili con la detenzione per farsi concedere gli arresti domiciliari all’interno di una casa di cura privata dalla quale evadere non sarebbe stata un’impresa impossibile. A quel punto l’idea era quella di espatriare. Secondo il pubblico ministero, il fascicolo è di competenza del pm Giuseppe Visconti, ciò dimostra che i problemi psichici di Bevilacqua non erano tali da annullarne la coscienza e la volontà. Per lui il titolare dell’inchiesta ha chiesto la condanna a diciotto anni di carcere.
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