Calabria
Blitz “Pedigree”, 12 misure cautelari per corruzione e richieste di pizzo
L’operazione della Polizia scattata questa mattina è stata ribattezzata “Pedigree”. Dodici le misure cautelari eseguite
REGGIO CALABRIA – Un’operazione che ha visto impegnati circa 100 agenti della polizia di Stato, coordinati dalla Dda reggina, per l’esecuzione di 12 misure cautelari nei confronti di soggetti ritenuti elementi di vertice, luogotenenti e affiliati alle potenti cosche della ‘ndrangheta Serraino e Libri.
Le persone colpite dalle misure sono ritenute responsabili di associazione mafiosa e, a vario titolo, di estorsione, intestazione fittizia di beni, danneggiamento, porto e detenzione illegale di armi da fuoco, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, illecita concorrenza con violenza o minaccia, incendio, aggravati dalla circostanza del metodo e dell’agevolazione mafiosa. Eseguite anche perquisizioni e il sequestro di alcuni esercizi commerciali.
Le cosche attraverso le loro articolazioni nel quartiere di San Sperato e nella frazione Gallina, ma anche a Cardeto e a Gambarie d’Aspromonte, erano attive nelle estorsioni ai danni di imprenditori e commercianti. Imponevano beni e servizi e in alcuni casi impiegavano i proventi delle attività criminali in esercizi commerciali dei settori della ristorazione, bar, e della vendita di frutta, che venivano intestate a sodali o a prestanome. Il tutto per eludere il sequestro con l’applicazione delle disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali.
Il ruolo di Maurizio Cortese
Tra le persone coinvolte nell’operazione Pedigree, che ha portato in carcere 11 persone e un’altra ai domiciliari, ci sarebbe anche Maurizio Cortese, genero di Paolo Pitasi, già uomo di fiducia di Francesco Serraino, il “boss della montagna”, assassinato durante la seconda guerra di ‘Ndrangheta, al vertice della cosca Serraino di Reggio Calabria.
Nel corso degli anni, Cortese, catturato da latitante nel 2017 dalla squadra mobile e dai Carabinieri, avrebbe acquisito una sempre maggiore importanza nell’ambito dei gruppi mafiosi, riuscendo a scalare le gerarchie del clan, con specifica competenza territoriale nel quartiere di San Sperato. La cosca diretta da Cortese, scrivono gli inquirenti, “è una consorteria strutturata della ‘ndrangheta unitaria, che trova la sua forza anche nei legami coltivati con esponenti carismatici di altre potenti cosche di Reggio Calabria, che ne hanno determinato il graduale potenziamento e l’ascesa al vertice”.
Strettissimo il legame con i capi storici della cosca Labate detti “Ti Mangiu” egemone nei quartieri cittadini di Gebbione e Sbarre. “Fattivo e proficuo” viene definito il rapporto con la cosca Libri di Cannavò quando è emersa l’esigenza di risolvere problematiche comuni e dirimere controversie afferenti alla rispettiva competenza territoriale.
Stabili le relazioni con la potente cosca De Stefano-Tegano e in particolare con Luigi Gino Molinetti, storico esponente del clan di Archi, recentemente arrestato nell’ambito dell’operazione Malefix. Al centro degli affari, la fornitura di acqua minerale, l’autorizzazione preventiva ad aprire un bar in una zona non sottoposta al controllo della cosca Serraino ma sotto il dominio della cosca De Stefano-Tegano, nel rispetto delle regole della ‘ndrangheta, ma anche l’accaparramento di clienti e il reperimento di macchinari aziendali necessari per l’apertura di un esercizio commerciale.
Maurizio Cortese viene indicato come il nuovo capo del clan Serraino di Reggio Calabria, che gestiva dal carcere gli affari illeciti della cosca attraverso i colloqui con la moglie Stefania Pitasi e le comunicazioni epistolari con altri affiliati, ma anche attraverso apparecchi telefonici cellulari introdotti abusivamente all’interno della struttura penitenziaria. Pur essendo detenuto, sostengono gli inquirenti, ha continuato a svolgere le sue funzioni di capo cosca, impartendo direttive dal carcere per eseguire estorsioni, per ordinare danneggiamenti di esercizi commerciali, per imporre la fornitura di beni e per pianificare intestazioni fittizie di attività commerciali.
Dall’indagine sono emersi diversi elementi che dimostrerebbero come il capo cosca avesse a disposizione in carcere un telefono cellulare, rinvenuto il 9 aprile 2019 dalla Polizia Penitenziaria, con il quale riusciva a comunicare riservatamente con l’esterno e a impartire disposizioni alla moglie la quale si prestava a fare da postina e ad altri sodali. Tutto avveniva con l’uso di un linguaggio criptico ma attinente alle dinamiche e alle attività delittuose della cosca di cui continuava a tenere le redini nonostante lo stato di restrizione.
I nomi degli arrestati
Oltre a Paolo Pitasi, reggino di 68 anni (suocero di Cortese Maurizio e padre di Stefania Maria Pitasi) assegnato ai domiciliari per motivi di salute le persone finite in carcere sono:
Maurizio Cortese, reggino di 40 anni (già detenuto per altra causa);
Domenico Sconti, 63enne reggino residente in Santo Stefano d’Aspromonte (genero di Francesco, detto don Ciccio Serraino, “boss della montagna”);
Domenico Morabito, 45enne di Cardeto (RC);
Salvatore Paolo De Lorenzo, reggino di 49 anni;
Antonino Filocamo, reggino di 32 anni;
Antonino Barbaro, reggino di 34 anni;
Sebastiano Massara, 34enne nato a Palmi e residente a Reggio Calabria;
Stefania Maria Pitasi, reggina di 37 anni (moglie di Cortese Maurizio);
Carmelo Leonardo, reggino di 57 anni;
Bruno Nucera, reggino di 52 anni;
Sebastiano Morabito, 54enne nato a Cardeto (RC) e residente a Reggio Calabria.
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