Rende
L’inquinamento di Rende e l”epidemia tumorale” tra i banchi del Parlamento Europeo
Il dossier sull’ex Legnochimica e sul depuratore consortile Coda di Volpe è stato presentato questa mattina a Bruxelles da uno dei residenti di contrada Lecco
BRUXELLES – Questa mattina a Bruxelles nella sede del Parlamento Europeo è stato discusso e relazionato il dossier sull’inquinamento di Rende. Uno dei residenti di contrada Lecco ha presentato la petizione lanciata dall’associazione ambientalista Crocevia riguardante sulla contaminazione di aria, acqua e terreni provocata dall’ex Legnochimica e dal depuratore Coda di Volpe di proprietà del Consorzio Vallecrati. I documenti presentati lo scorso anno alla Commissione petizioni sono stati ritenuti degni di approfondimento al punto da indurre il Parlamento Europeo a invitare i cittadini promotori a relazionare sulla mancata bonifica e la gestione delle criticità ambientali denunciate sul territorio rendese.
L’INTERVENTO A BRUXELLES
“A Rende, nella città universitaria, – ha dichiarato questa mattina dai microfoni del Parlamento Europeo il portavoce dell’associazione Crocevia Roberto Senato – in una zona ampia poco più di un chilometro e mezzo coesistono due bombe ecologiche che da anni compromettono la qualità della vita e flagellano la salute dei residenti. Si tratta del depuratore di reflui fognari e dell’ex Legnochimica azienda piemontese che lavorava il legname nata mezzo secolo fa e chiusa nel 2002. In 50 anni per disfarsi degli scarti chimici, tossici, prodotti dall’estrazione del tannino dai tronchi di castagno l’azienda ha usato due metodi: riversandoli nel fiume Crati e quindi provocando il conseguente sterminio dei pesci o depositandoli in otto vasche che erano state scavate nel terreno senza alcuna impermeabilizzazione. Oggi l’azienda non c’è più, ma restano le vasche colme di veleni. Sono solo tre perché cinque di queste sono state interrate senza bonifica e sopra vi sono stati costruiti dei capannoni. Le falde acquifere risultano gravemente inquinate e i periti che hanno studiato la zona sostengono che il livello di alluminio, manganese, nichel e ferro va molto oltre i limiti previsti dalla legge. Si parla di un inquinamento pericolosissimo. A confermare ciò è l’epidemia tumorale che ha colpito l’intera zona.
Il problema peggiora nel tempo perché i liquami evaporando diffondono un odore nauseabondo che investe l’adiacente centro abitato compromettendo la salute dei residenti. Inoltre con le alte temperature i terreni vanno in autocombustione e d’estate è molto facile che si sviluppino incendi. L’anno scorso un incendio autoprodottosi ha impegnato i Vigili del Fuoco per due giorni. Il fumo tossico sprigionato ha investito il centro abitato e ha costretto i residenti a chiudere porte e finestre nonostante il caldo. Moltissimi lavoratori di questo impianto negli anni sono morti per cancro e nello stesso periodo è stato registrato l’aumento di neoplasie molto rare tra i residenti delle contrade vicine ai due impianti. Varie sono state le richieste delle associazioni ambientaliste e dei cittadini di fare istituire un registro tumori. Nel 2010 un’ordinanza del Tribunale ha sancito l’obbligo dello Stato a provvedere alla bonifica del sito. Sono passati otto anni e nulla è stato fatto. Oltre al problema dell’ex Legnochimica nell’area insiste un depuratore.
Si tratta di un impianto costruito sul perimetro di un ex inceneritore chiuso nel 1998 perché inquinava. Gli abitanti e i lavoratori della zona industriale lamentano odori insopportabili sia di giorno sia di notte. Questo oltre a destare non poche preoccupazioni per la salute influenza terribilmente la qualità della vita. Nonostante il Comune di Rende abbia classificato l’area in questione come area da bonificare e da destinare a Parco Urbano e con un’ordinanza del 2000 del commissario straordinario per l’emergenza rifiuti della Regione Calabria sia stata ordinata la decontaminazione del sito nulla è stato fatto. Nessuna azione è mai stata intrapresa. Anzi. E’ in cantiere con i fondi della comunità europea un ampliamento. Entrambi i siti sono ubicati presso il fiume Crati che ha ricevuto nel corso degli anni gli scarti della lavorazione della Legnochimica e del depuratore. Il rapporto di Legambiente conferma i dati di inquinamento della foce del fiume Crati. Le istituzioni preposte ancora non hanno intrapreso nessun atto concreto a tutela della salute dei cittadini. Il risultato è una crescente sfiducia nelle istituzione e questa denuncia rappresenta la nostra determinazione a non fermarci di fronte questa indifferenza. Si chiede quindi di garantire il diritto alla salute dei cittadini”.
LA PETIZIONE
“L’associazione ambientalista cui fa capo il firmatario Francesco Palummo – si legge nel testo della petizione n. 1226/2017 – denuncia una duplice fonte d’inquinamento ambientale in un’area industriale della regione Calabria (Comune di Rende/Cosenza). Si tratta in primo luogo degli strascichi di un’attività produttiva (ultra-trentennale) di pannelli di legno, cessata da più di 15 anni (nel 2002 i tre cicli produttivi sono stati chiusi). In pratica, gli scarti di lavorazione della predetta attività – contenenti materiali altamente inquinanti (alluminio, manganese, nichel, ecc.) si sono depositati nei laghi (o bacini) di decantazione abbandonati. In secondo luogo, l’area in questione – che avrebbe dovuto essere destinata, previa bonifica, a parco urbano e che è invece stata trasformata nel 2003 dal comune in zona agricola – ospita un impianto di depurazione consortile (e fino al 1998 anche un inceneritore molto inquinante) nonché una discarica posta nel recinto del depuratore.
Con la conseguenza che il percolato dei rifiuti della discarica, le esondazioni del bacino fluviale circostanti nell’area del depuratore, nonché la non-impermeabilizzazione (fino a data recente) delle vasche dello stesso impianto hanno compromesso le falde acquifere. A questo cocktail d’inquinanti acquiferi si aggiungono gli odori nauseabondi provenienti dai siti di entrambi gli impianti (ex fabbrica di legno-chimica ed ex inceneritore). Nel frattempo (giugno 2017) il sindaco ha emesso un’ordinanza contenente una serie di divieti (esposizione diretta ai fumi, raccolta e consumo di frutta e verdura, pascolo sui terreni esposti ai fumi, ecc.). C’è inoltre il sospetto che i fumi siano dovuti all’autocombustione delle sostanze tossiche e cancerogene, presenti nei laghetti dell’ex
fabbrica. Il firmatario insiste sull’intollerabilità delle emissioni di fumi e odori, che alterano la qualità della vita della popolazione residente e sono all’origine di un numero elevato di patologie tumorali; lancia altresì l’allarme sull’inquinamento d’amianto proveniente dagli impianti della fabbrica dismessa, che le autorità preposte, in primis la Regione Calabria attraverso il piano di bonifica, avrebbero nascosto alla popolazione. Chiede quindi alle autorità nazionali competenti e alle istituzioni europee (Commissione e Parlamento) una serie di provvedimenti urgenti a tutela della salute della popolazione che vive e lavora nell’area circostante agli impianti fonte di inquinamento”.
LA RISPOSTA DELLA COMMISSIONE PER LE PETIZIONI
La risposta della Commissione, ricevuta il 29 giugno 2018, contiene delle osservazioni in cui si sottolinea che “Gli impianti di trattamento delle acque reflue urbane sono soggetti alle disposizioni della direttiva 91/271/CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane. L’agglomerato di Rende è oggetto della sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) emessa il 19 luglio 2012 nella causa C-565/10, Commissione/Italia, in cui l’Italia è stata condannata per aver omesso di prendere le disposizioni necessarie per garantire che i sistemi di raccolta e trattamento delle acque reflue urbane di 109 agglomerati sul suo territorio siano conformi agli articoli 3, 4 e 10 della direttiva 91/271/CEE. L’agglomerato è inoltre oggetto della recente sentenza della Corte di giustizia nella causa C-251/17, Commissione/Italia, del 31 maggio 2018, in cui l’Italia è stata condannata a pagare sanzioni per la persistente infrazione dell’articolo 3 della direttiva 91/271/CEE, non essendosi pienamente conformata alla precedente sentenza”.
“Inoltre, – scrive la Commissione per le Petizione del Parlamento Europeo – l’impianto di trattamento delle acque reflue urbane è oggetto di una procedura d’infrazione per violazione dell’articolo 4 della direttiva 91/271/CEE, in quanto una parte del carico generato non viene trattata e l’impianto di trattamento ha dato risultati insoddisfacenti. Le discariche sono disciplinate dalla direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (direttiva IED) e sono soggette alle soglie di cui all’allegato I, punto 5.4; dovrebbero pertanto essere gestite in conformità a quanto specificato nell’autorizzazione basata sull’uso delle migliori tecniche disponibili (BAT), che fissa valori limite per le emissioni inquinanti nell’aria, nell’acqua e nel terreno. L’autorizzazione dovrebbe inoltre contenere disposizioni che garantiscano la protezione del suolo e delle acque sotterranee, nonché disposizioni per il controllo e la gestione dei rifiuti prodotti dall’installazione. La direttiva IED non prevede tuttavia l’obbligo di risanare siti abbandonati o contaminati al di fuori dei confini dell’impianto. Le discariche sono inoltre disciplinate dalla direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti (recentemente modificata dalla direttiva (UE) 2018/850) e dalla decisione 2003/33/CE del Consiglio che stabilisce criteri e procedure per l’ammissione dei rifiuti nelle discariche, compresi criteri specifici per le discariche di rifiuti di amianto.
Si presume che le discariche conformi alla direttiva sulle discariche siano conformi alle pertinenti disposizioni della direttiva IED in termini di valori limite di emissione, parametri equivalenti e misure tecniche basate sulle BAT (articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 1999/31/CE). La direttiva IED contiene disposizioni dettagliate sull’accesso alle informazioni, sulla GU L 135 del 30.5.1991, pag. 40. GU L 182 del 16.7.1999, pag. 1. GU L 11 del 16.1.2003, pag. 27. CM1158053IT.docx 3/3 PE625.286v01-00 IT, partecipazione pubblica e sull’accesso alla giustizia, nonché un insieme esaustivo di norme in materia di ispezioni e controllo, i cui risultati devono essere resi pubblici. I ricorsi presentati dai cittadini che chiedono l’annullamento di misure nazionali o compensazioni finanziarie per i danni causati da tali misure possono essere accolti mediante meccanismi di riesame nazionali. La Commissione osserva che, per quanto riguarda la direttiva 91/271/CEE, l’Italia è già stata condannata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea ed è stata invitata ad adottare le misure necessarie, pena l’applicazione di sanzioni.
Un’altra procedura di infrazione per violazione della medesima direttiva è ancora in corso. In linea con l’approccio strategico presentato nella propria comunicazione del 2016 “Diritto dell’Unione europea: risultati migliori attraverso una migliore applicazione”, la Commissione rende prioritari i propri sforzi di attuazione in qualità di custode dei trattati nei casi in cui si evidenzi una violazione sistematica della normativa dell’UE in uno Stato membro. A parte le violazioni chiare e sistematiche della direttiva 91/271/CEE, la Commissione non ravvisa elementi che indichino una violazione sistematica delle direttive sulle discariche o sulle emissioni industriali. Qualora vi siano elementi specifici di non conformità a livello di discarica o di impianto di trattamento delle acque reflue urbane, la Commissione invita il firmatario a contattare le autorità italiane competenti per esortarle ad intervenire, se del caso, a livello locale”. Iter già seguito e rafforzato oggi con l’audizione ufficiali tra i banchi del Parlamento Europeo a Bruxelles.
Social