Cosenza
A Cosenza per un finto matrimonio, al Nord (forse) per un non-lavoro
Confermato l’arresto per Armando Leporato a capo, secondo la Procura, di un gruppo dedito a cercare mariti e mogli a migranti senza permesso di soggiorno
COSENZA – Sono senza documenti. Faticano ad accedere ai servizi più elementari come l’impegnativa di un medico per acquistare farmaci. Rischiano di essere rimpatriati e tornare a vivere tra la violenza e la miseria da cui sono fuggiti. In loro soccorso arriva un uomo di via Panebianco di bella presenza, con una buona dialettica, le amicizie giuste presso gli uffici comunali e la facilità di reperire indirizzi nei quali dichiarare la residenza. Si tratta di un cosentino già noto alle forze dell’ordine per essere finito in manette nel 2015 nel corso dell’operazione Black Mamba. In quell’occasione, secondo l’accusa, in qualità di agente immobiliare avrebbe fornito al gruppo dedito allo spaccio di eroina, cocaina e hashish un appartamento in via Popilia dal quale lo stupefacente veniva venduto ai clienti lanciandolo dal balcone. A distanza di poco più di tre anni Leporato si ritrova ad affrontare un’altra ‘rogna’ giudiziaria. Questa volta però il suo ruolo per la Procura di Cosenza non è più quello di supporto, di mediazione, ma di vero e proprio ‘dirigente’ di una presunta consorteria criminale dedita al favoreggiamento della permanenza illegale di stranieri nel territorio italiano.
Un business fatto di finti matrimoni scoperto grazie alle indagini della Procura di Salerno che, mentre indagava su un uomo sospettato di terrorismo il quale si è accertato essere estraneo agli ambienti dell’estremismo islamico armato, si è imbattuta nella pista dei permessi di soggiorno ‘’alla cosentina’’. Con una spesa stimata tra i 4mila e i 6mila euro era possibile sposarsi e conseguire tutti i documenti necessari a condurre un’esistenza dignitosa: carta d’identità, tesserino sanitario, patente di guida, ecc. Il prezzo però lievitava quasi sempre per le continue richieste avanzate dalle donne di avere, nonostante il debito fosse liquidato, ulteriori somme con il ricatto di chiedere la separazione. Un eventuale divorzio avrebbe infatti potuto far ricadere il malcapitato nuovamente nella clandestinità oppure far perdere la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana dopo due anni di convivenza.
“Io ammazzo a tutti, tutto con me si fa altrimenti vi brucio vivi. La prossima volta che non risponde al telefono glielo faccio mangiare, ti giuro comincio a pigliare un coso e sparo a tutti e si devono fare le cose come dico io”. Questo il tenore delle conversazioni per convincere i ‘clienti’ ad ascoltare i propri consigli, dialoghi intercettati in cui Leporato per attestare la propria ‘professionalità’ dice di aver fatto oltre 50 matrimoni. Lui stesso è sposato con una marocchina che vive in Belgio, così come le due donne che con lui sono state destinatarie di misura cautelare sono convolate a nozze (palesemente fittizie da quanto emerso nel corso delle indagini) con degli arabi dietro il pagamento di alcune migliaia di euro. L’iter cristallizzato dagli investigatori certifica il coinvolgimento di tredici persone (per nove di loro è stata presentata richiesta di misura cautelare), ognuna con un proprio ruolo.
L’ORGANIZZAZIONE DEL MATRIMONIO E IL LAVORO FINTO AL NORD
‘Armandino’ sembrerebbe si sia avvalso della collaborazione di A. F. di Acri per le pratiche amministrative e per la disponibilità di appartamenti che i migranti avrebbero potuto formalmente indicare come indirizzo di residenza per ottenere i documenti. Inizialmente non colpito da alcuna misura di custodia cautelare è ora in attesa della decisione del Tribunale del Riesame a cui il Procuratore della Repubblica Aggiunto di Cosenza Marisa Manzini si è appellato per chiedere che sia posto agli arresti domiciliari. Appello in cui viene richiesta la reclusione in carcere di due marocchini, di Armando Leporato e di un altro italiano. I primi sono A. A. H. e A. H. J. arabi incaricati di cercare migranti senza permesso di soggiorno e promuovere i matrimoni fittizi.
U. M. 31enne di Cosenza, anche lui in attesa sulla pronuncia del Tribunale della Libertà sulla richiesta di detenzione in penitenziario, avrebbe invece avuto il compito di reperire aspiranti mogli italiane e la delicata mansione di individuare cooperative al Nord Italia che avessero intenzione di stipulare contratti di lavoro falsi per ottenere permessi di soggiorno con più semplicità. Una pratica allettante, verosimilmente mai portata a termine, che avrebbe potuto soppiantare la pratica dei matrimoni fittizi comportando meno rischi. Insieme a Leporato nell’ottobre del 2016 aveva condotto delle trattative a Milano, come sottolinea la Procura di Cosenza, “inerenti la stipula di contratti di lavoro artefatti, propedeutici all’approvvigionamento di documenti di soggiorno da parte di stranieri irregolari”.
Un’idea che era piaciuta anche alla 45enne marocchina S. R. titolare di un bar che rappresenta il punto di riferimento dei connazionali e che funge da intermediaria tra i migranti e Leporato, nonché da collettrice delle somme di denaro destinate a perfezionare le pratiche illecite. Sulla sua posizione il Tribunale della Libertà dovrà esprimersi accogliendo o meno la richiesta della misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. Tre le donne italiane, due di Cosenza e una di San Fili, che secondo gli investigatori hanno lavorato nell’equipe dei presunti finti matrimoni sia sposandosi in prima persona con dei migranti arabi, sia fungendo da testimone di nozze, sia adoperandosi in vari modi per il disbrigo delle pratiche burocratiche e l’adescamento di aspiranti mariti e aspiranti mogli. Si tratta di E. Z. e E. A. già sottoposte entrambe ad obbligo di firma per le quali in Appello insieme a G. F. D. R. è stata richiesta la misura degli arresti domiciliari. Provvedimento sul quale si esprimerà il Tribunale del Riesame nei prossimi giorni.
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