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La ‘ndrangheta a Roma, sequestrati beni per 7mln di euro
ROMA – Ancora un ingente sequestro di beni riconducibili alla ‘ndrangheta.
La Dia di Roma ha dato esecuzione a un decreto di sequestro d’urgenza di beni, emesso dal tribunale di Vibo Valentia su richiesta del direttore della Dia Arturo De Felice, nei confronti di Saverio Razionale, 53 anni, nato a San Gregorio d’Ippona ma residente nella Capitale. Gli uomini della Dia hanno apposto i sigilli a beni immobili e societa’ operanti nel settore dell’edilizia nel Lazio e in Calabria, a esercizi commerciali nel centro di Roma (il Caffe’ Fiume, nelle adiacenze dell’omonima piazza a pochi passi da via Veneto), sequestrato auto di lusso (tra cui una Porsche usata da Razionale), una concessionaria di auto a Vibo Valentia e terreni per un valore complessivo di oltre 7 milioni di euro.I beni sono stati sequestrati dalla Dia alla cosca Fiarè-Razionale al cui vertice, dagli anni ’80, c’era proprio Saverio Razionale, dopo l’attentato in cui perse la vita in un agguato a Pizzo il precedente capo cosca Giuseppe Gasparro, detto “Pino u gatto”. Agguato in cui egli stesso rimase ferito.
Razionale era divenuto un elemento di riferimento per tutte le attività della cosca criminale, dalle estorsioni, all’usura, al riciclaggio, oltre ad essere coinvolto in fatti di sangue. Trasferitosi a Roma nel 2005, dopo l’ arresto e la successiva scarcerazione per scadenza dei termini di custodia, era riuscito a dar vita, nella Capitale, ad una rete criminale specializzata nel reinvestimento di proventi illeciti in beni immobili ed attività commerciali, nonché nel condizionamento e nell’infiltrazione degli appalti, tramite società di comodo. Condannato a quattro anni e sei mesi nel 2011, dalla Corte d’appello di Catanzaro, per associazione di tipo mafioso, con sentenza diventava definitiva all’inizio del 2012 con la pronuncia della Corte di Cassazione che aveva rigettato il ricorso presentato dai sui legali, Razionale si era reso latitante, sino allo scorso febbraio, quando la Suprema Corte, pur confermando la condanna per l’associazione di tipo mafioso, aveva annullato il provvedimento per una questione tecnico-giuridica connessa ad una errata determinazione della pena da parte della Corte d’Appello, che lo aveva condannato e che non aveva tenuto conto delle attenuanti generiche a suo favore.
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