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Il “fango culturale” che sotterra Sibari da portare all’attenzione nazionale

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Il “fango culturale” che sotterra Sibari da portare all’attenzione nazionale

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ROSSANO – L’associazione Otto Torri sullo Jonio ripropone e sottolinea la delusione e la rabbia per la situazione in cui versano gli scavi di Sibari, riproponendo l’articolo di Gian Antonio Stella pubblicato sul Corriere della Sera domenica 29 dicembre, e che ha portato all’attenzione nazionale l’approssimazione e la poca attenzione per quello che dovrebbe essere l’importante sito archeologico di Sibari.

“Il fango culturale che copre e sotterra Sibari dopo 2mila anni – è scritto in una nota dell’Associazione – in una regione che dovrebbe campare solo di efficaci politiche per i turismi, enogastronomico e archeologico in primis, resta molto più grave, odioso e pesante del fango reale che mesi fa ha inondato gli scavi e che rischia, allo stato ed al prossimo temporale di far andare storia e futuro sott’acqua. Per i ritardi della burocrazia, l’indifferenza sociale e culturale diffusa e l’incapacità storica e trasversale della classe dirigente regionale”.

 

“Cellophane e bacinelle fra le teche del museo: piove sui tesori di Sibari. Il titolo del pezzo di Stella – dichiara il presidente di Otto Torri, Stanislao Smurra – traduce lo sdegno che solo qualche giorno fa avevamo manifestato e spiegato nel 72esimo Caffè Filosofico a Rossano”. “L’interrogativo posto dal tema dell’agorà filosofica – prosegue Smurra – viene trasformato dalla nuova denuncia di Stella un un’amara affermazione. Non smentibile! Anzi, leggendo l’articolo semmai aumenta la convinzione dell’assurdo e del paradosso nel quale sembra inchiodato il patrimonio calabrese”.

 

“Altrove – si legge nel pezzo di Stella – nei musei di tutto il mondo, opere e reperti archeologici vengono trattati come tali: adagiati su piedistalli, incorniciati da preziosi drappeggi ed esaltati dalle luci dei faretti, pronti per essere mostrati ai visitatori disposti a farsi ore di fila per entrare ad ammirarli. Qui, a Sibari, le teche sono ricoperte dal cellophane e tra una vetrina e l’altra secchi e bacinelle raccolgono l’acqua che scende dal soffitto. Di visitatori, pochi. Una media di 31 persone al giorno, i tre quarti dei quali sono entrate, nel 2012, con biglietto di ingresso gratuito. Potesse tornare in vita il focoso “Toro cozzante” – prosegue il servizio pubblicato lo scorso 29 dicembre dal quotidiano nazionale – la magnifica statuetta di bronzo che rappresenta uno dei pezzi più belli esposti nell’edificio costruito una ventina di anni fa, saprebbe lui chi incornare. E schiumando rabbia dalle narici se la prenderebbe con tutti i governi nazionali degli ultimi decenni colpevoli di tagli scellerati e poi con le giunte regionali si sinistra e di destra sempre distratte davanti ai disastri dei parchi archeologici calabresi e ancora con i sovrintendenti troppo timidi nel denunciare le calamità dovute all’incuria e gli amministratori locali innamorati del “marchio” ma indifferenti alla cura quotidiana. Non se lo merita – aggiunge Stella – un degrado così questo eccezionale accumulo l’uno sull’altra, per la gioia di ogni amante dell’archeologia, di tre città diverse: la sontuosa Sibari voluta dagli Achei distrutta dai Crotoniati nel 510 a.C. e poi la panellenica Thuri successivamente conquistata dai Lucani e infine la romana Copia. Non se lo merita – scrive ancora – quello che come ricorda Salvatore Settis, fu per un paio di secoli “la più opulenta città dell’Occidente greco, lasciandosi dietro una scia di narrazioni, spesso leggendarie” e fu “il modello si ricchezza e di cultura urbana avanzata”.

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