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Un massone cosentino e il segreto di Hiram

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Un massone cosentino e il segreto di Hiram

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La recente riedizione di Iramo, un poema del rivoluzionario cosentino Francesco Saverio Salfi, getta nuova luce sulla storia dei liberi muratori calabresi del XIX secolo.

 

Si è bendati. Tutto è buio. Poi qualcuno leva la benda e accende le luci. Si è sdraiati in una bara. Poi qualcuno aiuta a uscirne e ci si ritrova tra simili. Morte e rinascita. Da trecento anni (che saranno compiuti ufficialmente l’anno prossimo) la massoneria celebra questo mito e l’uomo che l’ha ispirato: Hiram.

Francesco_Saverio_Salfi

Francesco Saverio Salfi

Secondo i grembiulini, Hiram Abif fu un architetto eccellente, a cui il re Salomone diede uno degli appalti più importanti dell’antichità: la costruzione del tempio di Gerusalemme. Poi venne ammazzato da alcuni suoi dipendenti che volevano fregargli i segreti del mestiere e, già che c’erano, anche la gestione dell’appalto (gli israeliani di allora, evidentemente, pagavano bene come quelli di oggi).

 

Secondo gli storici, anche quelli più benevolenti verso la massoneria, questa storia sarebbe una bufala: l’Hiram di cui parla la Bibbia non era un palazzinaro d’epoca, così prestigioso da costruire una casa per il Padreterno, ma un fonditore di metalli, pure piuttosto bravo. Fatto sta che i miti non devono dire a forza la verità, ma essere efficaci. E la storia di Hiram “funziona” almeno quanto il Signore degli Anelli di Tolkien.

 

Napoli, 1798: al seguito del generale francese Championnet ritorna a Napoli Francesco Saverio Salfi, un ex sacerdote cosentino. Da lì ad alcuni mesi, avrebbe dato un contributo alla creazione della Repubblica Napoletana. Salfi, intellettuale acuto, di idee progressiste, era il classico rivoluzionario italiano: di famiglia povera, si era fatto prete per poter studiare. Poi aderì all’illuminismo e, dopo essersi messo nei guai prima con la chieda e poi nella Napoli di Ferdinando primo, se ne andò a Genova, si spretò e, da lì, rifugiò in Francia. Dove ritornò dopo il fallimento dei francesi al Sud.

Iramo

Copertina Iramo

A questo punto è chiaro che tra Salfi, i moti rivoluzionari e il regno di Gioacchino Murat c’è in comune la massoneria. E non a caso una buona parte della sua vastissima produzione letteraria (che comprende trattati filosofici, drammi teatrali, libretti d’opera e saggi scientifici) è di ispirazione massonica.

 

Ne è un esempio Iramo, giusto per stare in tema, un poemetto composto da Salfi nel 1810 e ripubblicato da Brenner nel 2016. L’opera, dedicata al “cadavere eccellente” a cui i massoni di tutto il mondo si ispirano per il loro mito laico (mica Iram risorge davvero, semmai i massoni sono obbligati ad imitarlo per farlo rivivere), è una specie di breviario in versi per liberi muratori, ispirato alla filosofia progressista dell’epoca. Non ancora Kant, ma già Liebniz e via discorrendo.

 

Scritto per i massoni d’inizio ’800 e stampato in formato tascabile per essere meglio nascosto in qualche tasca (all’epoca la censura verso i massoni, in parecchie parti d’Italia era piuttosto pesante), Iramo oggi può interessare gli studiosi interessati a ricostruire la figura intellettuale di Salfi e, magari, a tracciare in maniera più precisa i rapporti tra la massoneria (o meglio, il pensiero massonico) e la cultura rivoluzionaria.

 

Almeno questo è lo spirito con cui lo studioso cosentino Leonardo Granata, che si dedica da anni allo studio delle opere di Salfi, ha curato questa nuova edizione di Iramo. Che è poi la terza opera salfiana restituita dallo stesso Granata (le altre due sono il poema I Templari e il saggio Dell’utilità della Franca Massoneria).

 

La riedizione di Iramo è consigliabile un po’ a tutti: ai massoni digiuni di lettura (non c’è obbedienza che non abbia dedicato una loggia, calabrese e non, a Salfi), agli intellettuali e agli appassionati, perché il ritratto storico di Salfi uscirà ingigantito. Manca solo, a questo punto, un’opera complessiva su Salfi, a cui sia la piccola Cosenza (ancor più piccola a fine ’700) sia Napoli stavano strette.

 

Occorre capire, a questo punto, chi si farà avanti: la sfida non è piccola.

Aldo Reghini

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