REGGIO CALABRIA – Una importante operazione antidroga è stata eseguita questa mattina dai carabinieri di Reggio Calabria che ha portato all’arresto di 18 persone. Quindici indagati sono finiti in carcere e altri tre, agli arresti domiciliari, per i reati di associazione dedita al narcotraffico e numerosi reati fine sia in materia di stupefacenti, che di armi, oltre ad un’ipotesi estorsiva.
L’attività investigativa
Le indagini sono partite a giugno 2023 e si sono concluse a maggio 2024, da un’attenta e continuativa attività di osservazione e monitoraggio del quartiere di Catona di Reggio Calabria. Durante diversi servizi di pattugliamento del territorio, i militari avevano avuto modo, in più occasioni, di notare movimenti anomali nella zona citata, in prossimità dell’abitazione di colui che è stato ritenuto nell’ordinanza custodiale, allo stato degli atti, il capo dell’associazione criminale. Il soggetto è anche nipote di un esponente apicale della ndrangheta di Archi.
L’installazione di un sistema di videosorveglianza e lo svolgimento di attività di riscontro conduceva all’individuazione di un embrionale gruppo di soggetti dediti al traffico di sostanze stupefacenti. La capillare attività di intercettazioni – telefoniche, ambientali e telematiche – e di videoripresa ha portato anche a numerosi sequestri di sostanze stupefacenti e di altri mezzi, strumentali allo svolgimento dell’attività di spaccio.
Il business della droga: minori tra gli spacciatori e gli acquirenti
Il Gip ha riconosciuto la gravità indiziaria in ordine all’esistenza di un’associazione finalizzata al narcotraffico, composta da 15 soggetti, tra gregari ed esponenti di vertice, avente la sua base operativa nel quartiere di Catona di Reggio Calabria, con ramificazioni anche in altre località del territorio reggino e con contatti nella piana di Gioia Tauro e nella vicina Sicilia. Secondo le indagini i sodali avevano messo in piedi una solida attività imprenditoriale dedita alla vendita di varie tipologie di sostanze stupefacenti (cocaina, marijuana, hashish), anche con il coinvolgimento, in qualità di venditore, di un soggetto minorenne; anche tra gli acquirenti si registrava la presenza di alcuni soggetti minorenni.
La sussistenza e la solidità della struttura organizzativa sarebbe stata accertata sia dalla realizzazione sinergica, da parte dei sodali, di plurime condotte criminose, funzionali al traffico di stupefacenti, sia dalla condivisione tra i vari associati di risorse materiali, profitti e rischio d’impresa. Nel provvedimento cautelare, il GIP ha evidenziato come i membri della consorteria si fossero attrezzati per gestire, in modo professionale, il business degli stupefacenti, assicurandosi le forniture necessarie tramite i contatti vantati dal loro capo nell’ambiente criminale, non solo reggino ma anche della Piana di Gioia Tauro; forniture che venivano, poi, custodite presso appositi immobili abbandonati ed appartamenti presi in locazione dagli associati, divenendo le basi logistiche del sodalizio e punto di riferimento per i numerosi assuntori di sostanze stupefacenti.
Lo spaccio “continuativo”
Il gruppo criminale – secondo quanto emerso dalle indagini – garantiva oltre agli approvvigionamenti di cocaina, anche un continuativo rifornimento di marijuana, grazie alla conduzione, nel quartiere di Catona, di una piantagione di canapa indica, della quale i sodali curavano le diverse fasi di approntamento, raccolta e lavorazione. Difatti, i militari avevano individuato una vasta piantagione composta da circa 400 piante, già defogliate, e di 25 piante ancora in fase vegetativa, oltre a scoprire un deposito utilizzato come laboratorio per la lavorazione e il confezionamento dello stupefacente.
I proventi dell’attività di vendita dello stupefacente venivano ripartiti tra i sodali, secondo le disposizioni fornite dal capo del sodalizio, il quale provvedeva al sostentamento di uno dei suoi sottoposti, dopo che questo era stato tratto in arresto in quanto trovato in possesso di cospicue quantità di diverse tipologie di droga, a disposizione del gruppo.
Il ‘capo’ dal carcere impartiva le direttive
La solidità della struttura associativa sarebbe stata garantita nonostante i provvedimenti restrittivi che avevano attinto alcuni membri del gruppo e, da ultimo, anche il loro capo. Quest ultimo, pur ristretto in carcere, continuava, difatti, ad impartire direttive ai sodali in merito all’organizzazione dell’attività illecita, avvalendosi, a tal fine, della mediazione dei propri familiari nel corso dei colloqui in carcere. Le numerose attività di perquisizione e sequestro di droga non scoraggiavano i vertici del sodalizio, che, forti dei loro profondi legami criminali con la rete dei fornitori, continuavano ad operare illecitamente per il conseguimento di sempre maggiori profitti. Un’associazione dunque, ben radicata nel quartiere di Catona, che esercitava un penetrante e diffuso controllo del territorio, tramite un sistema di vedette che, posizionate nei pressi dell’abitazione del capo, sorvegliavano le strade limitrofe in modo da garantire la sicurezza e l’impunità dei sodali dediti all’attività di spaccio, nonché tramite una serie di avvisaglie telefoniche ogni qualvolta qualcuno degli indagati si avvedeva della presenza di forze di polizia in zona. Si evidenzia come le numerose attività di riscontro compiute nel corso del periodo di monitoraggio conducevano al sequestro di cocaina, marijuana e hashish.

