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Omicidio a Cosenza, per il gip la «Mirabelli non è convincente». Esclusa la legittima difesa

Omicidio Gioffrè

COSENZA – Proseguono le indagini sull’omicidio avvenuto a Cosenza, in via Montegrappa, dove il 19 febbraio scorso venne rinvenuto il cadavere di Rocco Gioffrè, ucciso da 37 coltellate. A confessare il delitto, Tiziana Mirabelli, 47 anni, che subito dopo il ritrovamento del corpo si costituì ai carabinieri, confessando di aver compiuto il delitto per legittima difesa.

Il racconto di Tiziana Mirabelli: i dubbi dei magistrati

Il racconto della donna, però, non convince la magistratura. E il gip, Alfredo Cosenza, lo scrive nell’ordinanza con cui ha disposto la detenzione in carcere della donna. La ricostruzione dei fatti resa dalla donna durante l’interrogatorio «non appare convincente, evidenziando anzi aspetti di inverosimiglianza. I dubbi si concentrano «In primo luogo» sul «numero delle coltellate inferte, superiori a una, come ha dichiarato la stessa indagata, non appare compatibile con la volontà di difendersi così come le modalità con cui la stessa azione difensiva si è svolta secondo il racconto reso dalla stessa»

«Appare evidente, allora, come non possa ritenersi compatibile con l’intento di sfuggire al suo aggressore, una condotta lesiva pervicacemente condotta anche dopo che l’uomo era caduto in terra, anche ipotizzando una sorta di “raptus difensivo”. La condotta descritta appare, piuttosto, espressione di singolare aggressività e ferocia, tanto che l’azione violenta continuava anche dopo che l’uomo era in terra e, quindi, impossibilitato a offendere».

La donna ha dichiarato di essere stata costretta ad una colluttazione con il pensionato per legittima difesa, sottraendogli il coltello che aveva puntato alla gola ma «appare, sul punto, difficile pensare che un’aggressione così condotta non abbia prodotto ferite al collo o al corpo della donna, che riusciva a disarmare il presunto aggressore, sottrargli il coltello e colpirlo a sua volta».

«Perché la donna non ha denunciato le aggressioni dell’uomo?»

I dubbi persistono «egualmente» nelle dichiarazioni rese dalla donna che «appaiono poco credibili» nel descrivere la personalità dell’uomo «che, a suo dire, da tempo manifestava comportamenti ossessivi e persecutori nei suoi confronti, con manifestazioni aggressive non comuni quali percosse, lesioni, intrusioni non autorizzate all’interno dell’abitazione e, financo, l’apposizione di “microspie” per spiarne le abitudini. Appare certamente poco verosimile che la donna non abbia inteso denunciare tali condotte ovvero anche solo confidarsi con qualcuno.

Il magistrato Cosenza prosegue, chiedendosi  perché «la donna non abbia inteso denunciare tali condotte ovvero anche solo confidarsi con qualcuno, così come il fatto che detti comportamento ovvero le ecchimosi che la donna dice di avere subito non siano state notate da alcuno. Costituisce, com’è noto, evenienza tutt’altro che rara la riottosità delle vittime di condotte persecutorie ovvero di maltrattamento a denunciare un proprio compagno o un congiunto ma, in questo caso, trattandosi solo di un vicino di casa, come affermato dall’indagata, ovvero, al massimo, di un amico, appare difficile comprendere come la Mirabelli abbia potuto non denunciare».

Ombre sulla condotta successiva al delitto

Ombre anche sulla «condotta successivamente tenuta» in seguito al delitto «sempre come descritta dalla donna, che sposta il corpo, pulisce il pavimento e attende prima quattro giorni prima di denunciare, riesce poco comprensibile nell’ottica di una donna che si sia soltanto difesa da un’aggressione. Per le ragioni indicate, non può dirsi, allo stato, sussistente una situazione tale da integrare la scriminante della legittima difesa così come regolata dall’art. 52 c.p. che, anzi, pare esclusa dalle stesse modalità della condotta posta in essere dalla Mirabelli Tiziana. Come si è visto, infatti, avere continuato a colpire il Gioffrè quando si trovava ormai in terra non appare compatibile con qualsiasi intento difensivo».

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