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L’ombra del ‘batterio killer’ nell’ospedale di Cosenza, isolato 35 volte in un anno

ospedale annunziata cosenza 01

COSENZA – Per la morte di Cesare Ruffolo avvenuta nel 2013, la Suprema Corte di Cassazione ha condannato il 22 novembre 2022 in via definitiva l’ex primario di Immunoematologia dell’Ospedale dell’Annunziata di Cosenza, Marcello Bossio. Questa volta però, a farne le spese e dopo qualche anno dal decesso di Ruffolo è stata una paziente di settant’anni la quale – nel 2016 – per un semplice intervento di cataratta ha letteralmente perso la vista da un occhio a causa dell’infezione da Serratia Marcescens contratta sicuramente all’Ospedale di Cosenza, con conseguenze gravissime di eviscerazione oculare e condizione di cecità totale monoculare.

La paziente si è rivolta all’avv. Massimiliano Coppa, esperto in colpa medica il quale ha assistito la famiglia Ruffolo nella lunga battaglia giudiziaria, che ancora non ha trovato una conclusione risarcitoria ma solo giudiziaria, dopo circa dieci anni di processo e cinque gradi di giudizio, finito con la conferma delle responsabilità civili e penali, il quale ha formalizzato espressa richiesta di risarcimento dei danni con istanza pretensiva a carico dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza a seguito della quale il Tribunale di Cosenza ha disposto una perizia per poter evidenziare eventuali responsabilità.

Sulla scorta delle indagini esperite dagli ausiliari del Tribunale di Cosenza è emerso che la condotta dei sanitari della struttura ospedaliera bruzia alla quale la paziente si era affidata fornirono “..carenti informazioni alla dimissione circa i comportamenti da tenere per una corretta gestione della ferita chirurgica…”, né – tantomeno – la struttura fornì nel processo “una valida prova documentale di avere idoneamente adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis finalizzate ad evitare l’insorgenza di patologie infettive batteriche”.

Il legale della paziente ha poi spiegato – ed i periti hanno confermato la circostanza – che il fatto stesso che i controlli ambientali non siano stati documentati proprio nel periodo in cui è stata ricoverata la paziente, rappresenta un’evidente criticità nella dimostrazione di aver adottato tutti i provvedimenti imposti a termine di norma.

In pratica l’infezione ospedaliera contratta dalla paziente sul sito chirurgico all’interno dell’Ospedale di Cosenza poteva essere evitata con tutte le conseguenze ad essa connesse, essendo emerso nel corso del giudizio – dalla stessa documentazione prodotta dall’Azienda Ospedaliera di Cosenza – che il batterio di Serratiua Marcescens è stato isolato solo nell’anno 2016 ben 35 volte all’interno dei locali dell’ospedale e, nonostante quanto accertato, ancora oggi dopo sette anni dal fatto l’Azienda Ospedaliera di Cosenza non ha inteso risarcire i danni alla paziente.

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