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Cosenza: supera il cancro ma muore per un catetere, Azienda ospedaliera respinge risarcimento

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COSENZA – Per due volte ha superato il cancro ma è deceduto per un ritardo diagnostico di 30 ore all’ospedale di Cosenza a seguito di una perforazione della vescica con il catetere. L’Azienda Ospedaliera di Cosenza, pur di fronte ad accertate responsabilità, respinge il risarcimento nonostante l’assicurazione abbia messo a disposizione le somme per i danni.

E’ la storia di un paziente di 79 anni circa il quale si era rivolto nel 2019 all’Ospedale di Cosenza per ritenzione urinaria dove fu posizionato il catetere vescicale. Successivamente durante l’esplorazione della cavità pelvica si osservava la fuoriuscita di liquido dalla vescica, con evidenza (alla prova con blu di metilene) di spandimento a carico della cupola vescicale. A seguito di ciò il paziente fu sottoposto ad intervento chirurgico e si procedeva, dunque, a sutura della vescica, lavaggio della cavità addominale e posizionamento di drenaggi. Il 19 luglio il paziente è stato trasferito dapprima presso il reparto di Chirurgia d’Urgenza e poi, il giorno seguente in Geriatria.

Il 21 luglio è comparso però un rialzo termico ed eseguiti gli esami emocolturali (risultati negativi), contestualmente si sarebbe ipotizzata la presenza di liponecrosi a livello della ferita chirurgica, trattata con lavaggi a zaffo. Il giorno seguente, ancora un rialzo febbrile per il quale è stato sottoposto ad una nuova emocoltura (anch’essa negativa). Rilevata la fuoriuscita di liquido scuro dal drenaggio chirurgico sarebbe stata cambiata la terapia antibiotica introducendo vancomicina e sospendendo metronidazolo e poi è stata richiesta una consulenza chirurgica che consigliava TC con cistografia. Quest’ultimo esame evidenziava non spandimento di mezzo di contrasto in sede perivescicale, anche ad alta pressione che confermava la presenza di una breccia della parete anteriore della vescica, a sinistra della linea mediana, ad ore 13, che si arresta nel contesto del muro anteriore la parete stessa e la successiva rivalutazione.

Il 23 luglio le condizioni del 79enne sono peggiorate progressivamente. La diagnosi di dimissione era sepsi severa con insufficienza multi-organo in paziente sottoposto a sutura vescicale e viscerolisi per perforazione della cupola vescicale complicata da peritonite generalizzata.

Il decesso e la richiesta di verità della famiglia

A seguito del decesso, i familiari del paziente hanno chiesto di capire bene le cause della morte del loro congiunto, affidandosi all’Avv. Massimiliano Coppa, esperto in colpa medica, il quale ha commissionato una valutazione medico legale urologico-chirurgica a consulenti di parti che ravvisarono plurime responsabilità. Dal 2019 ad oggi sono stati molti i tentativi dei familiari con l’Avv. Coppa, volti ad ottenere il risarcimento dei danni per la morte del congiunto, con l’unico effetto di non avere alcuna risposta dai vertici ospedalieri.

La vicenda dello sfortunato paziente è dunque approdata dinanzi al Tribunale di Cosenza che ha dato incarico a due specialisti per evidenziare ogni condotta idonea o censurabile dei sanitari dell’Ospedale di Cosenza che, a vario titolo ebbero in cura il paziente. Il risultato era quello ipotizzato dal legale della famiglia e dai consulenti.

Responsabilità dei medici ospedalieri per il decesso del paziente scampato due volte al cancro ma giunto a morte per un ritardo diagnostico di oltre 30 ore. Ed infatti, per come si legge nella documentazione in atti, tuttavia, il quadro patologico sarebbe stato diagnosticato (e conseguentemente anche trattato) tardivamente considerato che, a seguito del posizionamento del catetere presso il Pronto soccorso di Cosenza, tra il 14 e 15 luglio del 2019, erano state richieste due consulenze urologiche, che si limitavano a indicare il monitoraggio del paziente non riscontrando urgenze in atto.

A fronte di ciò, le condizioni venivano descritte presso il PS come “scadenti” e all’esito della breve disamina degli eventi sopra occorsi è stato possibile ritenere censurabile la condotta dei sanitari (urologi) che non indicarono nel caso specifico alcun approfondimento diagnostico, con conseguente ritardo nella diagnosi e nel trattamento del quadro di uroperitoneo instauratosi. In particolare il ritardo realizzatosi consta di circa 30 ore (dalle ore 12.16 del 14/07 – prima consulenza urologica – fino alle ore 18.23 del 15/07 – l’ecografia dell’addome all’ingresso presso il reparto di Medicina Interna), nell’arco delle quali il quadro di uroperitoneo è stato certamente gravato da un maggiore spandimento di urina a livello intraddominale con sviluppo di peritonite e peggioramento del quadro clinico complicato da “sepsi severa con insufficienza multi-organo, nonostante l’intervento di riparazione della lesione, infatti, il soggetto andava incontro a MODS e se ne verificava l’exitus in data 23/07, puntualizzando che l’insufficienza multiorgano del paziente doveva essere correlata all’intempestività del trattamento della lesione perforativa della vescica.

Insomma al paziente, spiega l’avvocato Coppa, “non solo fu perforata la vescica ma lo stesso non fu trattato ed assistito tempestivamente seppur in un ospedale come quello di Cosenza, in un reparto specialistico che lo lasciò morire dopo 30 ore di inerzia assistenziale”.

La vicenda finita in Tribunale e il risarcimento

A seguito del deposito della perizia del Tribunale, l’assicurazione dell’Ospedale per la quale lo stesso corrisponde un premio annuo di circa tre milioni di euro, aveva inteso contattare la famiglia per il tramite dell’avv. Coppa, mettendo a disposizione una somma a titolo di risarcimento al fine di ristorare i danni per la perdita del congiunto, facendo rinviare per oltre sei mesi l’emissione della sentenza del Tribunale per consentire il risarcimento dovuto. Purtroppo la stessa famiglia del paziente non aveva fatto i conti con la reale posizione dell’Ospedale che, nonostante la conclamata responsabilità dei propri sanitari, prima ha chiesto di rinviare l’emissione della sentenza e poi si è rifiutata di mettere a disposizione una minima somma di franchigia contrattuale per consentire il risarcimento dovuto alla famiglia.

A seguito di ciò è stato rappresentato dai familiari che, atteso il comportamento di chiusura dimostrato dall’Ospedale di Cosenza, per altro anti economico, che non ha né inteso portare una parola di conforto nell’immediatezza dei fatti e né tantomeno formulare le condoglianze per il decesso avvenuto per esclusiva responsabilità dei medici, occorrerà fare ricorso a verifica contabile oltre che giudiziaria sulla legittimità delle condotte intrattenute dai vertici dell’Ospedale di Cosenza in occasione del decesso del paziente.

Non si comprende – continua la famiglia – come mai l’Ospedale corrisponde un premio assicurativo di circa tre milioni di euro l’anno e poi non consente il risarcimento giudizialmente accertato davanti l’Autorità Giudiziaria, circostanza questa che comporterà un ulteriore dispendio di risorse economiche pubbliche che verranno certamente poste in capo all’Ospedale di Cosenza, avuto riguardo degli esiti della perizia del Tribunale. Insomma, nonostante la sepsi, fosse stata conseguenza del quadro di peritonite generalizzata determinatasi a causa del ritardo diagnostico l’Ospedale di Cosenza ha inteso nascondere la testa sotto la sabbia, negando dei diritti giudizialmente riconosciuti essere stati definitivamente lesi alla famiglia con il decesso del paziente. Sarà anche accertato un danno erariale oltre che un danno per anticipata perdita parentale? Sarà sempre l’Autorità Giudiziaria competente a stabilirlo.

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