La polizia di stato di Catanzaro ha arrestato Domenico Antonio Cannizzaro, ritenuto esponente di spicco dell’omonima cosca Cannizzaro-Daponte.
CATANZARO – L’ha ucciso per vendetta perchè aveva contribuito a far condannare un suo parente. Gennaro Ventura, fu ucciso il 16 dicembre del 1996. La vittima al momento del delitto svolgeva l’attività di fotografo a Lamezia Terme; attirato in una trappola con la scusa di un appuntamento di lavoro, venne ucciso da un killer, oggi divenuto collaboratore di giustizia, che occultò il cadavere in una vasca sotterranea all’interno di un casolare agricolo abbandonato. La ricostruzione investigativa della squadra mobile di Catanzaro e del commissariato di Lamezia Terme sotto la direzione della Dia, ha permesso di accertare che l’omicidio venne deciso e programmato da Cannizzaro. Una scelta maturata per vendetta in quanto la vittima, che aveva prestato servizio nei carabinieri alcuni anni prima dell’omicidio, aveva contribuito, nell’ambito dell’espletamento del proprio servizio all’individuazione e alla conseguente condanna di un parente del killer.
LE INDAGINI ARCHIVIATE PRIMA DELLA COLLABORAZIONE DI GENNARO PULICE
Un uomo ritenuto responsabile di una rapina, effettuata a Tivoli durante la quale era stato sottratto un ingente quantitativo di sostanza stupefacente. Dopo venti anni dal ritrovamento del cadavere di Ventura è stato rintracciato il presunto responsabile del delitto e scoperto il movente del delitto. Si tratta di Domenico Antonio Cannizzaro, cinquantenne ai vertici della cosca Cannizzaro-Daponte. Attirato usando lo stratagemma di un finto appuntamento fu rapito e freddato con un colpo di pistola alla fronte, da Gennaro Pulice il pentito che ha confessato di aver tentato di nascondere il corpo di Ventura in un casolare di campagna. I resti di Ventura vennero ritrovati diversi anni dopo, nel 2008, all’interno di un rudere di contrada Geraci in agro di Lamezia. I particolari dell’omicidio erano stati resi noti da Pulice in marzo a seguito della sua scelta di collaborare con la giustizia. Dopo alcuni anni dall’uccisione dell’ex carabiniere fotografo il caso fu archiviato perché non si riusciva a trovare né la salma, né si sospettava che potesse essere stato ucciso.
I PRESAGI DI GENNARO VENTURA PRIMA DI MORIRE
Al fratello Ventura, il pomeriggio in cui venne rapito, aveva confessato di essere molto preoccupato per un appuntamento con un avvocato Di Cello che avrebbe dovuto tenere nelle ore successive. Anche dopo il ritrovamento della salma le indagini vennero chiuse senza alcun esito. In servizio a Tivoli, Ventura fu uno dei testimoni chiave in un procedimento penale che portò alla condanna di un torinese e un lametino incensurato. Nell’estate del 1991 infatti Ventura si era recato a Roma con un collega per consegnare a un perito chimico del Tribunale, un campione di stupefacente sequestrato. I due carabinieri avevano incrociato sulle scale del palazzo un uomo vestito da poliziotto, insieme con uno in borghese. Trovarono la porta dello studio aperta e il perito pestato a sangue rapinato di un ingente quantitativo di eroina e cocaina che aveva in consegna. Durante le indagini, Ventura, il suo collega e il perito contribuirono a definire un identikit fotografico del finto poliziotto, che portò a incriminare i due. Il fratello ricordò che, dopo l’incontro con un avvocato nel 1994, Gennaro Ventura apparve spaventato e pronunciò la frase: “Sono riusciti a trovarmi”.
In foto Gennaro Ventura
