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Ignorarono il ‘cliente’ collassato per overdose, il racconto dell’amico

CATANZARO – Abbandonato in un palazzo, privo di vita, stroncato dall’eroina.

Si e’ concluso con due condanne il nuovo processo di secondo grado a carico dei due uomini finiti sotto inchiesta a seguito della morte di Aldo Cantafio, 41enne catanzarese, ritrovato cadavere giorno 25 maggio 2010 su un pianerottolo di uno stabile in via Teano, a Catanzaro. La Corte d’appello di Catanzaro ha condannato a sei anni e due mesi di reclusione Franco Simone Bevilacqua, rom catanzarese di 30 anni, accusato di spaccio di stupefacenti e morte come conseguenza di altro delitto – accogliendo cosi’ in pieno la richiesta del sostituto procuratore generale, Marisa Manzini -, e ad un anno di reclusione Fabio Critelli, di 35 anni, accusato del favoreggiamento del primo imputato – il pg aveva chiesto due anni -. I giudici di secondo grado si sono pronunciati nuovamente, oggi, dopo che la Corte di cassazione, lo scorso 12 dicembre, ha annullato la precedente pronuncia d’appello. Questa risale al 19 settembre del 2011, quando la Corte confermo’ la pena inflitta in primo grado a Bevilacqua, condannato a sei anni, sei mesi e venti giorni di reclusione e 30.000 euro di multa, mentre decise di assolvere Critelli, che in primo grado era stato condannato a tre anni di reclusione e 12.000 euro di multa previo riconoscimento di un vizio parziale di mente. La sentenza di primo grado per i due imputati arrivo’ il 25 gennaio 2011, al termine dei giudizi abbreviati (che valsero loro lo sconto di un terzo sulla pena che avrebbero dovuto avere). Secondo le accuse, mosse ai due uomini sulla base delle indagini dei carabinieri, sarebbe stato proprio Bevilacqua a vendere a Cantafio, suo “cliente abituale” per stessa ammissione dell’imputato, la dose di eroina che questi ha assunto a casa del primo, il pomeriggio del 25 maggio, e che lo ha ucciso nel giro di pochissimo. I due, poi, di fronte alla crisi per overdose di Cantafio non si sarebbero minimamente preoccupati di lui, ma piuttosto solo di occultare le prove di quanto era accaduto. In base a quest’assunto, in esecuzione di un provvedimento cautelare del gip di Catanzaro, Bevilacqua fini’ in carcere (il provvedimento di custodia fu poi confermato dal Riesame), e Critelli ai domiciliari.

 

Il blog Terramara ricorda il giovane Aldo con un racconto che immortala gli ultimi suoi giorni di vita scritto da un compagno di ventura: “Nove del mattino, inaspettatamente squilla il citofono. Mi alzo a piedi nudi dal letto, acchiappo la cornetta e rispondo. Chi è? Sono Aldo Maria Cantafio. Ahahahahahah…!!! scoppio in una fragorosa risata. Non ci volevo credere! Era una vita che non sentivo quella voce inconfondibile, almeno 3 anni. Non sapevo neppure come avesse fatto a trovare subito l’indirizzo di quella casa ma ero felice una pasqua. Sali, aldù, Sali. Venti secondi e me lo ritrovo dietro la porta di casa. Che sorpresa, aldù, come stai? Quella mattina c’era il sole e lui aveva la solita capigliatura tirata all’indietro, “bagnata”, tipica anni Ottanta. Stessa fisionomia, stessa sagoma, sguardo intenso, tutto un programma. “Bene, totò, bene e tu? Io niente male, ero ancora a letto, ma non fa niente, mi alzo. “Ti ho portato due paste, vedi un po’ se ti piacciono, sono al cioccolato”. Allora no! così vado a cacare – ribatto, sghignazzando – e comunque sei sempre il solito signorone!!! Non era tempo di vacche grasse quello, e neppure di grandi risate, quindi la presenza di Aldo era come un toccasana. Allora, amico mio, che mi racconti? Mah, tutto vecchio, ora sono a Crotone e sono ritornato a lavorare al Consorzio di bonifica, sto abbastanza bene. Passano pochi secondi e irrompe all’improvviso quel vecchio boato: “a tremilaaaaaaaaa!!!”. Ridiamo come pazzi scambiandoci manate affettuose e facendo ping pong di ricordi, a dir poco trash! “E il monco – mi chiese più volte – dov’è? Come sta? Beccaccia, Luciano, Ermanno. E Taliano? – mimando il suo tono di voce – . E e gli altri dei tipsy cchi fina ficiaru? E Matteo?” Indimenticabili le scene del suo matrimonio… Era troppo simpatica la sua naturalezza nel dire le cose, senza considerare affatto che era stato lui a sparire dalla circolazione per un bel pezzo. Ma era bello per questo, perché faceva sentire gli altri in imbarazzo anche quando era lui in una posizione di netta difficoltà. Sembrava non fosse passato neppure un giorno da quando mi salutò per andare in comunità. Voleva combattere a tutti i costi la sua “dipendenza” ed aveva capito che una soluzione poteva essere rappresentata proprio da quell’insopportabile terapia intensiva a cui non tutti intendono sottoporsi. Ma lui con umiltà lo fece e dopo tre anni, rieccolo lì, nuovamente tra noi, sulla strada, con la stessa verve di sempre, tra birre ed aneddoti, con l’immutata ironia tagliente e sincera che lo ha reso fantastico ed originale. Vabbò, aldù, fai un caffè alla tua maniera, intanto mi dò una sciacquata e indosso qualcosa. “Come no, compà, ma c’è tutto?” Si, si, almeno il caffè c’è. Movimenti ordinati e minuziosi, inizia a montare la macchinetta a vite. Lui era così, preciso e pignolo, molto riflessivo, attento ai suoi gesti e a quelli degli altri. Di tanto in tanto, riesumava nomi di calciatori sbiaditi dal tempo e faceva a gara con Mariano e Raffaele, anche loro fanatici di queste cose, sulla memoria del calcio perduto. A me piaceva molto come tipo, a volte era inquietante, è vero, ma era senza dubbio un personaggio interessante, non ti scocciava mai, uno di quelli che il tempo non scalfisce neppure un po’. Un ultras vecchia maniera, assolutamente fuori dalle righe, non inquadrato, libero, un amico a cui piaceva discutere ore ed ore della vita, che si poneva molti perché, che non si tirava indietro, e poi era sveglio, brillante nei ragionamenti e quando doveva dire una cosa, anche un pò spiacevole, lo faceva con un senso di lealtà invidiabile. Sregolato, un po’ come tutti noi. Uno di quelle persone che non incontri più facilmente. Profondamente anticonformista. Dedito alla lettura e amante della narrativa. Sensibile alla vita e non indifferente a ciò che ci circonda. Forse questo fu l’unico suo “difetto” che lo portò alle tenebre prima del previsto: la non indifferenza verso una società non sempre bella che ha il potere si indebolire le coscienze più delicate fino al totale deperimento e ad una fine maledettamente drammatica. 5 minuti dopo, il caffè è pronto. La tazzina è già sul tavolo. Ottimo Aldù, non ti smentisci mai, un vero maestro! Altre risate grasse e fragorose! Era una coglionetta continua, tra tutti di noi. “Ok – esordisce ad un certo punto, dal nulla – allora a Castellammare andiamo insieme? Io, tu e Francesco?” Forse c’è pure Gioman – aggiungo – . “Poi basta, vero? Quattro è il numero perfetto”. Embè, certamente – confermo – . Siamo stati sempre un po’ fissati sulla selezione, forse troppo, ma questo principio ci faceva vivere le cose in maniera più audace coltivando quello spirito d’avventura che non guasta mai. Era una vita che non si andava in trasferta insieme, sembrava fossero tornati i tempi di Nardò, fine anni Novanta, del travaso del vino dalla damigiana alle bottiglie, i periodi in cui si partiva solo poche macchine all’avventura. Anni bui del calcio che tuttavia videro fiorire un gruppo di amici molto allegro e compatto che si fece rispettare dovunque. Ma ad Aldo lo conobbi molto prima, ai tempi del Classico, fine anni Ottanta, inizi anni Novanta, stagione Brigata. All’epoca stava con una ragazza molto carina che successivamente diventò mia compagna di classe. Anche allora era inconfondibile. Fisico asciutto e snello. Giocava in porta ma ogni tanto si staccava come un pazzo per fare le sue sortite in mezzo al campo. Molto più in là fu ribattezzato l’angelo bianco, una sera in cui, al mitico campetto dell’Aldisio, andava su e giù da una porta all’altra facendo planare al vento come un airone la sua camicia sbottonata di cotone bianco e segnando gol improbabili, seguiti da esultanze alla Mammì. Ovviamente, quando c’era lui le risate erano assicurate. Qualche tempo dopo ci ritrovammo, sempre a casa mia, pronti per la trasferta più importante del campionato: lo scontro al vertice con la Juve Stabia che finì con una immeritata sconfitta. Fu una serata particolare, dal sapore antico, che riportava in vita l’atmosfera del passato. Lo spirito fanciullesco in fondo non era mutato ma l’età si faceva sentire. La mattina, prima di partire, Aldo preparò un altro buon caffè che addirittura mi portò a letto per smorzare i miei bruschi risvegli. Fu l’ultimo che ebbi il piacere di gustare da lui, così come la delicatezza che dipingeva il suo stile. Ma di quella domenica bestiale ricordo le sue invettive contro di me nel settore ospiti: “devi cantaaaaare!” L’avrà ripetuto tante di quelle volte che mi costrinse ad ingaggiare una energica ma necessaria colluttazione per liberarmi da quel tormentone! Durante la partita lo persi di vista, poi, verso la fine, lo rintracciai nuovamente appollaiato sulle scalette dell’ingresso, immobile, impassibile, sembrava una statua di gesso mentre trascorrevano gli ultimi minuti di una gara dall’esito quasi scritto ma non certo per la qualità del gioco. Lo chiamai: Aldù, ma dove cazzo eri finito? “Ma tu dov’eri finito?” – ribattè subito, rilanciandomi al volo la palla – . Ovviamente rido, e lui fa qualche passo e si appoggia alla balaustra adiacente al terreno gioco. Qualche minuto dopo arriva il triplice fischio. All’uscita, bombarda Paolino, avvelenato dalla solita sconfitta campana e gli urla a ripetizione: “metti tensioooneee”. Glielo avrà ripetuto decine di volte. Che personaggio! Molti anni prima, capitava spesso di rivederlo, in Curva, dopo intere settimane di assenza, a cantare nel gruppo. Spuntava e andava via di nuovo. E fu per questo suo modo di intendere la vita che venne fuori quella simpatica canzoncina: “Aldo C., l’han visto la domenica cantare con gli Uc…”.

 

 

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