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Teatro dell’Acquario: il regalo di Paride Leporace

COSENZA – Un affettuoso regalo di compleanno, due anni dopo si trasforma in un pensiero triste. Il regalo in questione è quello che, appunto due anni fa

, Paride Leporace, una delle penne più prestigiose del giornalismo calabrese e nazionale, ex direttore del Quotidiano della Basilicata e attuale direttore della Film Commission Basilicata, scrisse per festeggiare i trent’anni del teatro dell’Acquario. Il titolo era “A mollo nel’Acquario”. Nel postarlo sul suo profilo personale di Facebook, Paride Leporace, spiega: Mi avevano chiesto questo scritto per una pubblicazione per il trentennale dell’Acquario che temo non sia stato mai pubblicato. Mi pare arrivato il momento di renderlo noto. Un contributo per continuare ad andare avanti. «I trent’anni del Teatro dell’Acquario – iniziava così il pezzo – sono oltre metà della mia vita. Una vita per lungo tempo trascorsa nella struttura di via Gallup…pi. Ma questa storia per me è “Prima che Abramo fosse”. Avevo i calzoni corti quando un’estate, da ragazzino del centro storico, mi trovai a fare animazione teatrale in un magazzino di corso Telesio chiamato “Playcentro”. Un capataz con il fisico da Obelix compiaciuto apprezza divertito la mia battuta “E’ di-abete” dopo aver sbattuto ad una sedia, furto di una mia visione di Petrolini in televisione. Chi rideva si chiamava Antonello Antonante ed è diventato presenza fissa della mia esistenza. Ho parlato sempre con lui crescendo in altezza e cambiando ruolo. Sempre con lui una sera in una piazzetta di Santa Lucia tra prostitute e guappi assisi sulle sedie portate da casa vidi per la prima volta “I vitelloni”. Tra i suoi amici c’era all’epoca un mio istitutore di Convitto, il dinoccolato Larry, un baffuto signore che mi ricordava Bruno Bozzetto. Erano teatranti vivaci e combattivi. Qualche tempo dopo alzarono una tenda da circo dalle parti di piazza Europa. Arrivarono gli anni Ottanta, che sono stati anche divertenti. Nacque il Teatro dell’Acquario. Era diverso in quell’epoca. Con le sedie da pic-nic tutte in piano. Un posto che ha reso Cosenza diversa da altre città meridionali. In questa mia memoria voglio ricordare una serata tra le tante, forse per me un po’ speciale. Nel gennaio del 1981 fecero un bell’effetto scenico sui muri di Palazzo degli Uffici i grandi manifesti con il dito medio alzato che inanella il cerchietto dello strappo della birra. L’avviso annunciava che al teatro dell’Acquario andava in scena “Donne. Storie di ordinaria follia”del Caravanserraglio di Torino. Si trattava di una compagnia poco in sintonia con la critica. Lo spettacolo aveva già ricevuto l’attenzione dell’autorità giudiziaria, la manchette annunciava in modo ammiccante “Vietato ai minori di 18 anni”. L’anno prima era uscito anche l’omonimo film firmato da Ferreri. La sera davanti al botteghino di via Galluppi c’è la ressa delle grandi occasioni. Patron Antonante è soddisfatto. Molti spettatori sono in piedi. Bluseau noir e maledette di provincia sono assiepati a seguire le avventure etiliche e sessuali di uno scrittore che si sono bevuti da quando erano adolescenti. Lo spettacolo funziona. Applausi e sipario. Si sfolla lentamente tra l’inconfondibile odore dell’erba di Rovito, molto in voga in quel periodo. Cosenza da bere. Cosenza da leggere e raccontare. Una sera di vita come tante altre. Poi il teatro diventò – si legge ancora – adulto con quella tribuna alta. E la lista è troppo lunga: Magazzini criminali, Remondi e Caporossi, il Teatro della Valdoca, Mario Martone e Leo De Berardinis. Abbiamo potuto assistere alla rappresentazione della post Avanguardia italiana come i nostri coetanei di Milano e Roma. Scusate se è poco. C’ anche altro. La sala Beck, in cui feci laboratorio con Judith Malina, partecipando ad uno spettacolo in piazza, chiuso da un cerchio di persone che recitano l’om. Ma anche, l’Acquario come luogo pubblico di svolta politica nella partecipazione municipale cosentina del 1993, oppure i concerti d’arpa birmana, la danza e la veglia pubblica per i bombardamenti di Baghdad. Ricordo i manifesti: “Si chiude”. Per fortuna non era vero. Da giornalista ho raccontato molto dell’Acquario. Un’istituzione della mia Cosenza. Ringrazio – concludeva Paride Leporace – tutti coloro che mi hanno donato questa felice e ricca esperienza.

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