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Cosenza, Sandra e Carmine: “Non abbiamo i soldi per il mutuo, la nostra casa andrà all’asta”

COSENZA – Se la vita delle persone si legge sul palmo della mano destra, quella di Sandra e di suo marito Carmine è scritta sull’anulare sinistro, che entrambi mostrano tristemente nudo. “Lo scorso inverno c’era la bolletta della luce da pagare e non avevamo i soldi. A malincuore abbiamo fatto l’unica cosa che, in quel momento, potevamo fare. Ci siamo sfilati le fedi dal dito e le abbiamo vendute. In cambio c’hanno dato duecento euro, che sono serviti per la bolletta e per qualche altra piccola spesa”.

Sandra e Carmine (“Non abbiamo fatto figli, siamo stati vagabondi”) 56 anni lei, 58 lui, abitano al secondo piano di un bel palazzo bianco e grigio costruito di recente su via Popilia. “Abbiamo comprato casa sul progetto. Poi, quando i lavori sono finiti, nel 2007 siamo stati i primi ad arrivare”. Fino ad allora, abitavano (in affitto) in un palazzo su corso d’Italia dove entrambi lavoravano come portieri. Il sogno però era sempre stato quello di avere una casa tutta loro. Alla fine, sacrificio dopo sacrificio, ci sono riusciti. Sandra ha da pochi minuti aperto il portone di legno massiccio. “Avevamo scelto le porte migliori”, dice con orgoglio suo marito Carmine che poi però preferisce farsi da parte.

Il soggiorno (come tutte le altre stanze) è arredato con gusto e semplicità. “Siediti qui vicino a me”. Questa donna esile e provata, è garbata e gentile nei confronti della cronista venuta a raccontare la sua storia di disperazione. “Nella mia vita ho sempre lavorato. Dopo l’esperienza di portineria, decisi di creare un’impresa di pulizia tutta mia. Si chiamava ‘Ecofull’. Riuscii ad aggiudicarmi appalti importanti: il provveditorato agli studi, la caserma della Guardia di finanza, la Biblioteca civica di Cosenza, oltre a numerosi studi professionali e condomini. Certo, mi toccava alzarmi alle due di notte ma non era un problema. E poi non ero sola: c’era mio marito a darmi una mano e, per alcuni anni, anche una decina di dipendenti. Guadagnavamo bene e quel mutuo di 160mila euro aperto per acquistare quest’appartamento ci sembrava davvero a portata di mano”. Dal 2007 e fino a tre anni fa, quella rata mensile da quattrocento euro e rotti da versare alla banca, Sandra e Carmine l’hanno sempre onorata. Anche se, un poco alla volta, diventava sempre più difficile. “Abbiamo iniziato a perdere un appalto dietro l’altro. Senza contare che, a causa della crisi finanziaria della Biblioteca civica, abbiamo visto polverizzarsi circa diecimila euro”. Alle difficoltà lavorative si sono aggiunte le vicissitudini della vita.

“Entrambi i miei genitori sono morti. Erano la mia colonna portante. Mi sono sentita persa. Non mangiavo più e sono dimagrita di sessanta chili. Ero profondamente depressa. Lavorare mi sembrava impossibile. Mio marito mi ha sostituita, ma poi anche lui si è ammalato gravemente di cuore e non è più stato in grado di lavorare”. Sandra asciuga le lacrime che le scendono dagli occhi col fazzoletto che stringe tra le mani. “Ricordo ancora il giorno in cui ho detto a Carmine ‘Speriamo di riuscire a pagare il mutuo anche il prossimo mese’, ma come temevo non ci siamo riusciti”.

Con la banca le hanno provate tutte. Inutilmente. E, dopo un po’, è arrivato il primo dei tanti decreti ingiuntivi. “Abbiamo chiesto la rinegoziazione del mutuo con una rata più bassa, ma non c’è stato niente da fare”. Soldi in casa, ormai, non ne entravano più. Da quando Sandra e suo marito hanno smesso di lavorare, la loro sopravvivenza dipende in larga parte dal sostegno della Caritas della parrocchia San Francesco di via Popilia. “Una volta al mese, vado a ritirare il pacco del Banco alimentare. Farina, pasta, olio, scatole di pelati, formaggio, carne di pollo, zucchero, caffè. Il pane qualche volta lo faccio io in casa. Sono brava, sai!”. E sono sempre i volontari della Caritas a chiamare al telefono Sandra per dirle che in parrocchia sono appena arrivati dei vestiti o delle scarpe e se vuole può andare in chiesa, perché magari c’è qualcosa che le piace, che le sta bene addosso. “Certo che vado. Non è vergogna. Quando me lo potevo permettere, ero io ad aiutare gli altri”. Il resto lo fa il sacerdote. “Quando può, mi dà qualche soldo di tasca propria, piccole somme di denaro che servono per le bollette e per le altre spese quotidiane”. Per quattro volte Sandra e Carmine hanno provato a presentare domanda per ottenere il reddito di cittadinanza. La risposta è stata sempre la stessa: siete proprietari di una casa, il valore dell’immobile è alto, non rispettate i requisiti di legge. Un paradosso, uno scherzo beffardo del destino o forse, semplicemente, una legge che andrebbe rivista. Come se con quelle quattro mura di cemento ci si potesse fare la spesa al supermercato!

“La nostra casa andrà presto all’asta”

Le giornate di Sandra e Carmine trascorrono lente. Sullo spazioso balcone adorno di piante, s’ode il cinguettio di un uccellino in gabbia al quale Sandra ogni tanto regala una coccola. Alle pareti, le foto degli affetti scomparsi. Su un piedistallo, la statua di gesso di Padre Pio. A lui s’è affidata Sandra quando, tre giorni fa, hanno suonato alla porta di casa. Difficile che fosse un inquilino del palazzo, venuto a portare un piatto caldo o magari una parola di conforto. “Macché – sospira Sandra – è peggio che al nord. L’amministratore c’ha addirittura presentato un atto ingiuntivo, perché non siamo stati in grado di pagare le spese di condominio”. Infatti, a bussare, era un ufficiale giudiziario. In mano aveva una busta verde. “Sapevo che, prima o poi, sarebbe arrivata ma non ce l’ho fatta ad aprirla e l’ho passata a mio marito”. Fogli su fogli, tenuti insieme da un punto metallico. Termini giuridici, parole complicate. Forse addirittura inutili da leggere, tanto il senso di tutto era lì buttato in prima pagina, chiaro, nero su bianco. “C’è scritto che la nostra casa andrà presto all’asta. Prezzo base 43mila euro. Ma si potrebbe scendere fino a 32mila euro. Questo valgono i sacrifici di una vita intera!”.

Il pianto di Sandra diventa inconsolabile. Le lacrime tornano a bagnarle il volto. Sono notti che lei e suo marito Carmine non chiudono occhio. In tribunale non potranno andarci. Toccherà al loro avvocato comunicare per telefono l’esito dell’asta. “A questo punto, l’unica speranza è che nessuno decida di acquistare la nostra casa. Significherebbe avere ancora qualche altro mese di tempo per cercare una soluzione alternativa. Con un po’ di fortuna, potrei trovare un lavoro nuovo. Adesso sto meglio, ho la forza di ricominciare. Fammi un favore, scrivilo che ho bisogno di lavorare. Posso occuparmi di assistenza alla persona, non di notte però, perché mio marito è malato e ho paura a lasciarlo da solo. Potrei pulire appartamenti, studi, negozi, stirare. Dillo che mi chiamo Sandra Maccarone e se qualcuno è interessato può contattare il vostro giornale. Aiutami, ti prego”. Ma certo, per così poco! Mi congedo con questo impegno.

Intanto, quelle che seguiranno, saranno ore di trepidante attesa per Sandra e suo marito Carmine che ricompare per i saluti. Depone sul tavolo un piccolo vassoio colmo di caramelle colorate: “Prendine una, sono fresche”: Scelgo quella alla fragola. Sa di dolce, come la vita che Sandra e Carmine avevano un tempo. L’involucro di carta rimane nella tasca del pantalone, quasi che liberarsene subito equivalga, in qualche modo, a scrollarsi di dosso frettolosamente l’infelice storia di Sandra e di suo marito. E alla fine mi dico che sì, la butterò più tardi!

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