COSENZA – Il camice bianco è appeso al chiodo. Ma non del tutto: “Due volte a settimana torno in reparto per confrontarmi con la mia equipe nella gestione dei casi più gravi e per rimanere sempre aggiornato”. Gianfranco Filippelli, direttore dell’Unità operativa complessa di Oncologia medica del presidio San Francesco da Paola, il 17 maggio è stato nominato dal presidente della Regione Roberto Occhiuto commissario straordinario dell’Azienda ospedaliera di Cosenza. Il giorno dopo ha preso servizio.
Allerta, sentinella Filippelli!
Non senza rammarico: “Il mio lavoro mi manca moltissimo, perché – confessa – la professione di oncologo mi ha sempre tenuto vicino ai pazienti”. Dottore, si consoli. Sia pur da una postazione differente, lei rimane sempre e comunque al servizio dei malati. “Sì, ma non è la stessa cosa”. Ci aiuti a capire. “Se prima c’erano persone che pendevano dalle mie labbra e fiduciose si affidavano alle mie cure, adesso ho a che fare con ‘portatori d’interessi’ da cui ogni giorno sono costretto a guardarmi le spalle”. Aggiunga qualche dettaglio. “Mi riferisco a tutti coloro che traggono profitto dall’aggiudicazione degli appalti relativi ai servizi ospedalieri. In fondo, la sanità è la più grande industria che esista in Calabria. Questo mio nuovo lavoro è difficile, complicato. Mi creda”. Ci mancherebbe!
L’esperienza passata (ne siamo convinti) le avrà però lasciato un insegnamento! Nel curriculum di Gianfranco Filippelli, infatti, c’è traccia dell’incarico di commissario dell’Asp di Cosenza affidatogli dall’allora presidente della Regione Mario Oliverio (decreto n.32 del 27 marzo 2015). “Per tutto quel periodo, che definirei in chiaroscuro, avvertii sul collo il fiato opprimente della politica”. C’è cascato di nuovo, però! “Questa volta è diverso”. Sta dicendo che adesso l’aria è cambiata? “Non avverto più quella pressione. Quando mi sono insediato, il presidente Occhiuto mi ha detto ‘fai quello che ritieni più opportuno’. Una bella differenza, considerato che fino a poco tempo fa nel settore della sanità non si muoveva foglia senza l’ok della politica, anzi, della malapolitica”. E così è tornato…
Il medico nostalgico e il commissario guerriero
“Ho accettato questo nuovo incarico perché da cosentino non posso sopportare il declino inesorabile cui sembra essere condannato il presidio dell’Annunziata. Sono preoccupato e ho deciso di mettere a disposizione le mie competenze in materia di gestione della rete ospedaliera interna. Essere medico è senza dubbio un valore aggiunto. “Al mio insediamento ho subito notato un grave calo di attenzione nei confronti delle esigenze dei medici”.
Per non parlare del resto. “Sicuramente lo sforzo più complesso è rappresentato dalla riorganizzazione del Pronto soccorso e dell’Emergenza-urgenza. Sia chiaro, il problema non si risolve pensando soltanto a Cosenza. Gli ospedali Spoke sono chiamati a fare la propria parte. Da qui, la forte sinergia instaurata tra Azienda ospedaliera e Asp. Il Pronto soccorso dell’Annunziata è diventato un imbuto che raccoglie i pazienti dell’intera provincia. Rimangono (mi si passi il termine) parcheggiati per giorni e giorni. In occasione della mia prima ricognizione, sono rimasto sconvolto e non volevo credere ai miei occhi. Spazi angusti e malati stipati in condizioni assurde. I reparti sono in affanno perché mancano medici e posti letto”. Sia più preciso. “Quando sono arrivato, ho scoperto che molti reparti erano stati accorpati tra di loro, con conseguente riduzione dei posti letto. Tre mesi fa, se ne contavano una cinquantina per tutta l’area medica. In un ospedale importante come quello di Cosenza non è concepibile che il reparto di Chirurgia sia in grado di ospitare soltanto cinque pazienti per volta”.
Annunziata, fenomenologia di una (inaspettata) resilienza
Le chiediamo se la situazione, nel frattempo, sia migliorata. “Con sollievo rispondo di sì. Ho riorganizzato tutti i reparti, dotandoli di nuovo personale: infermieri e tecnici di laboratorio. Ogni singola Unità operativa ha così potuto riacquistare la propria autonomia. La chirurgia generale, toracica, vascolare, senologica, l’urologia, l’otorino che prima procedevano a scartamento ridotto, adesso sono finalmente tornati a lavorare a pieno regime”. Peccato che di camici bianchi nelle corsie ce ne siano ancora dannatamente pochi. “Nonostante il vecchio piano autorizzasse l’assunzione di duecento medici, ne erano state effettuate appena un centinaio. Mi sono subito messo al lavoro per arruolare la restante metà. Allo stesso tempo, ho preparato un nuovo piano delle assunzioni che, le anticipo, sarà sottoposto al vaglio del presidente Occhiuto nel giro di poche settimane. Il mio auspicio è di avere nuove energie da immettere in corsia il prima possibile”.
E’ in grado di quantificare il numero di camici bianchi che mancano all’appello? “In realtà, occorre fare calcoli complicati: un incrocio tra pensionamenti, licenziamenti, rapporti di lavoro a tempo determinato e via dicendo”. Va da sé che il fabbisogno di personale medico differisca da reparto a reparto. “Proprio così. Faccio un esempio. L’Annunziata vanta numerose eccellenze. Tra queste l’Urologia che rappresenta un punto di riferimento per l’intera provincia. Si tratta di un reparto con liste d’attesa lunghissime che da solo riempirebbe l’intero ospedale. Attualmente, i posti letto non sono sufficienti a soddisfare l’intera domanda. Abbiamo appena assunto due urologi e un terzo arriverà a breve. Risultato? Riusciamo a garantire la sola urologia oncologica. Mi arrivano segnalazioni di pazienti che non trovano posto per un banale intervento di ipertrofia prostatica. A loro dico: rivolgetevi al privato convenzionato”. Difficile dare la stessa risposta ai malati che invece accorrono al Pronto soccorso. “La situazione, in questo caso, potrebbe essere migliore se riuscissimo a rendere operativi i nuovi locali che abbiamo realizzato”. Chi o cosa ve lo impedisce? “Una volta sono i Vigili del fuoco (per carità fanno il proprio lavoro). Poi, interviene il Genio civile. Adesso che pensavo di aver finito, si sono inventati persino il controllo dei gas medicali”.
Gettoni e chiamate perse
Da una parte la burocrazia, dall’altra l’affannosa ricerca di medici specializzati nell’emergenza-urgenza. “Quelli che hanno tutti i requisiti richiesti per prestare servizio in un pronto soccorso sono ormai mosche bianche. Le politiche degli ultimi vent’anni hanno causato lo sfacelo attuale. Il numero chiuso a Medicina, la durata esagerata del corso di laurea. Sei anni più cinque di specializzazione sono davvero troppi. E gli ospedali, intanto, rimangono senza medici L’anno scorso è stato bandito un concorso per otto posti e alla fine ne abbiamo coperto soltanto uno. Quel concorso è stato appena riproposto ma, al momento, non si è fatto vivo nessuno. Personalmente, mi sono anche rivolto a una società che si occupa di lavoro interinale, ma la gara è andata deserta”. I famosi medici “a gettone” italiani che, a detta del presidente Occhiuto, arrivano a guadagnare fino a mille euro al giorno? “Sì, proprio loro. Al Pronto soccorso si muore. Non ne farei una questione di soldi”.
La Regione ha appena “chiamato alle armi” gli specializzandi del terzo anno. “Gli specializzandi non sono autonomi. Se, per fronteggiare l’emergenza, dovremo assumerci l’onere di fare del tutoraggio con i medici anziani, non ci tireremo indietro. Però sia chiaro che questa non è la strada giusta. Senza contare che io, da paziente, non sarei tranquillo a farmi curare da un dottore che non abbia la benché minima esperienza sul campo. Il lavoro del medico non s’inventa e non possiamo assumerci la responsabilità di mandare giovani medici allo sbando in reparti come il Pronto soccorso”. E sulla vicenda dei camici bianchi cubani? “Nella sostanza, la penso come per gli specializzandi”.
Provi a convincere qualche suo collega a venire a lavorare a Cosenza! “Non c’è bisogno di andare tanto lontano. Ho due sorelle medico. Una presta servizio a Roma, l’altra all’estero e, a tornare in Calabria, non ci pensano proprio. Anche i miei due figli, laureandi in Medicina, già immaginano il proprio futuro professionale lontano da qui”. Rimane solo lei, dottor Filippelli. “Nonostante una carriera spianata all’Umberto primo di Roma, scelsi la Calabria per questioni familiari. Se non avessi ottenuto il primariato all’ospedale di Paola (ed è stata davvero molto dura), sarei partito anch’io”. A proposito della sua attività precedente, quando tornerà a fare il medico a tempo pieno? “Se tutto ciò che sto mettendo in campo per migliorare la sanità cosentina darà buoni risultati, sono disposto ad andare avanti. In caso contrario, ricomincerò a indossare il mio amato camice ogni santo giorno della settimana”.
