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Il profumo della dignità: il lavoro e la terra nel nostro Primo Maggio

Quasi senza averne coscienza, l’oppressione dell’incubo che stiamo ancora vivendo ci ha dato la cifra del valore di uno di quei baluardi che la Costituzione ha cristallizzato nell’incipit del proprio testo. La lezione, cesellata sulla nostra pelle, è chiara: il lavoro ci disincaglia dalle secche della ridondante preoccupazione del futuro, ci tranquillizza dall’affanno in cui ci costringe l’incertezza, concede incessanti diversivi alla mente, donandole ristoro. In una parola: il lavoro ci salva. Ma accade solo se è onesto, se rispecchia il nostro senso di completa adesione alla conquista di un obiettivo, come compimento del nostro essere in relazione ad uno scopo, generale o particolare. Ed è dunque uno strumento di realizzazione che necessariamente ha a che fare con la dignità, con quel rispetto che ciascuna persona deve avere nei confronti di sé stessa e che la eleva sul piano morale. In questo angolo di Mediterraneo in particolare, un legame indissociabile ci stringe al profumo del lavoro dei campi, alla fragranza del solco scolpito. Lavoro al sole che sfianca, appaga e profuma.

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