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Duplice omicidio Chiodo – Tucci, per i periti balistici nessun dubbio sull’arma utilizzata

Furono uccisi nel novembre del 2000 in via Popilia, nei pressi del carcere. A rimanere ferito anche Mario Trinni. Chiodo e Tucci vennero crivellati di pallottole

 

COSENZA – Duplice omicidio Chiodo –  Tucci, presenti in aula collegati in videoconferenza dalle varie case circondariali di Cuneo, Cagliari, Ascoli Piceno, Antonio Abruzzese di 48 anni,  Luigi Berlingieri, di 48 anni, Saverio Madio di 56 anni, Celestino Bevilacqua di 57 e Fiore Abruzzese, di 52 anni, per gli inquirenti tutti stabilmente inseriti nella criminalità mafiosa cosentina di etnia nomade. Nel collegio difensivo Rossana Cribari, Cesare Badolato, Filippo Cinnante, Nicola Rendace, Gianfranco Giunta e Maria Rosaria Bugliari.

Il duplice omicidio di Chiodo 39 anni e Tucci, 48enne, avvenne a novembre del 2000. I due vennero crivellati di colpi in via Popilia. Tucci sarebbe stato ucciso solo perchè si trovava in compagnia di Chiodo, vero bersaglio del delitto, così come Mario Trinni rimasto ferito nell’agguato. Chiodo, Tucci e Trinni stavano chiacchierando in una piazzetta nei pressi del carcere di via Popilia, quando da un’auto scesero due sicari incappucciati che iniziarono a sparare all’impazzata. Trinni riuscì a fuggire mentre Chiodo e Tucci furono colpiti. I sicari, poi, spararono alla testa delle due vittime il colpo di grazia con una pistola calibro 9.

Le indagini portate avanti dalla Distrettuale antimafia di Catanzaro, con il coordinamento del sostituto procuratore Camillo Falvo e del procuratore capo Nicola Gratteri, hanno portato a novembre scorso a richiedere l’applicazione di una misura cautelare per far luce su un omicidio lasciato “impunito”.

Nel corso dell’udienza tenutasi in Corte di Assise di Cosenza e presieduta dal giudice Lucente, a latere De Vuono, il sostituto procuratore della Dda Camillo Falvo ha chiesto l’acquisizione delle consulenze redatte all’epoca dei fatti dei periti Barbaro e Mancini nonché del figlio di Chiodo e di uno dei soci del circolo “Popoly street” davanti al quale avvenne il duplice omicidio. Nello specifico il figlio di Chiodo ha dichiarato: «Sono uscito dal bar e ho visto mio padre che era a terra. Avevo 16 anni. Sono andato verso di lui per vedere se era vivo e si muoveva. Non ricordo di avere visto killer e auto o moto»

Aldo Barbaro venne nominato per l’esame autoptico sia di Tucci che di Chiodo. Mancino in qualità di perito balisti redasse due perizie. La prima redatta il 10 novembre 2000, riguardava i reperti rinvenuti sul luogo del delitto, bossoli 7.62 e 9 dei proietti sparati esplosi da una unica arma kalashnikov anche per i proiettili 7.62

La seconda redatta un anno dopo, il 2 marzo 2001, fu richiesta a seguito del rinvenimento di un “castello” beretta serie 98 per accertare se facesse parte dell’arma che aveva esploso colpi d’arma da fuoco, e delle cartucce una calibro 9 e le altre 7.62 della stessa tipologia. Per il perito balistico il castello apparterrebbe senza ombra di dubbio all’arma utilizzare per il duplice omicidio: «Montato sul castello una serie di carrelli di armi assemblate, riscontrai che l’escursore di quest’arma aveva un piccolo difetto rilasciando tracce caratteristiche. Facendo le comparazioni riscontrai che il castello era parte dell’arma utilizzata».

Nel collegio difensivo l’avvocato Rendace ha chiesto al perito di spiegare meglio tecnicamente il castello a cosa si riferisse: «Una parte interiore in cui ci sono delle scanalature. Sul castello va assemblato l’insieme di carrello dell’arma con la canna. Su questa tipologia di arma c’è un elemento a punta escursore che nel momento in cui l’arma semiautomatica spara la cartuccia per effetto della pressione il carrello di sposta all’indietro e si ha tra la canna e il carrello, che continua ad uscire e si tira indietro, il bossolo esploso (estrattore). L’elemento che si trova alla parte opposta e urta sul fondello del bossolo genera l’espulsore del bossolo. Se c’è qualche difetto di rifinitura la parte in negativa rimane sul fondello. Questi elementi si chiamano identificativi. In questo caso l’unico dato, l’estrattore, presentava difetti che sono rimasti sul fondello, sui bossoli rinvenuti e sui bossoli derivanti dalle cartucce. Ho fatto la comparazione sui bossoli rinvenuti e su quelli generati dalle cartucce che ho esploso io e mi danno una compatibilità certa delle striature esistenti».

Sulla base di questa spiegazione l’avvocato Cinnante ha chiesto al perito dell’accusa se un’arma come quella della quale ne aveva analizzato il carrello potesse presentare un difetto di costruzione. E se di un’arma costruita lo stesso anno, la serie precedente o successiva, se lavorata con le stesse attrezzature, si potesse escludere che avesse lo stesso difetto. Il perito Mancino lo ha escluso categoricamente «Non è possibile per via delle non omogeneità del materiale. Io ho sparato 50 bossoli». L’avvocato Cinnante ha portato all’attenzione della Corte il fatto che non si possa escludere in quanto l’arma era mancante di matricola per cui il perito non ebbe modo di testare armi della stessa serie fabbricate prima e dopo: “quindi noi non abbiamo la possibilità di escludere che se si fossero verificate le armi precedenti e successive …una serialità di difetti di fabbricazione riconducibili alla stessa arma”… il perito in ogni caso ha continuato a sostenere la compatibilità dell’arma con quella utilizzata per il duplice omicidio «Per quello che ha domandato lei nessuna comparazione può farsi perché quest’arma non aveva nessuna matricola (matricola abrasa) quindi non ho potuto farlo – afferma il perito Mancino-. Escludo per quello che penso io caratteristiche del genere; che caratteristiche identiche non si sarebbero potute ripetere perché abbiamo fatto esperimenti con armi costruite con la stessa serie e danno caratteristiche diverse»

 

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