Una madre coraggio denuncia gli spacciatori che rifornivano il figlio ricoverato in una clinica privata, i quali minacciavano la donna per ottenere il pagamento dei debiti contratti dal giovane che sperperava tutta la pensione nell’acquisto dello stupefacente
Molti degli indagati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere; altri come Maria De Rose, 48 anni difesa dall’avvocato Cristian Cristiano ha risposto alle domande del Gip contestando tutti gli addebiti. Il collegio difensivo ha già depositato istanza di riesame che verrà discussa nei prossimi giorni.
L’inchiesta prende spunto dall’ennesima madre coraggio che denunciò vessazioni, minacce e richieste estorsive da parte degli spacciatori che rifornivano il figlio. Agli otto indagati, vengono contestati numerosi episodi di cessione di sostanza stupefacente (trenta i casi contestati) in particolare cocaina e marijuana. E sono state le dichiarazioni rese dalla donna alla Polizia Giudiziaria che, tra notevoli difficoltà, in quanto terrorizzata dal timore di incorrere in ritorsioni da parte dei fornitori della droga al figlio, ha raccontato tutta la sua difficile storia e permesso agli inquirenti di ottenere un quadro più ampio e circostanziato della vicenda.
La donna infatti, per evitare al figlio ritorsioni da parte di coloro che gli cedevano la droga, si era fatta carico di debiti contratti dal figlio per importi considerevoli, 2.000 euro -; A partire dal mese di luglio dello scorso anno, in più tranche, la donna si era vista costretta a versare ai “creditori” del figlio la somma di denaro per i debiti contratti per l’acquisto della droga. Le dichiarazioni rese dalla donna, sono state inoltre corroborate da quelle dell’amministratore di sostegno del giovane tossicodipendente che, analogamente, aveva ricevuto minacce e richieste spropositate di denaro dallo stesso giovane, per potere acquistare la cocaina che aveva provveduto a denunciare e da cui era scaturito altro procedimento penale. Le indagini, svolte nell’arco di quasi un anno dalla prima denuncia, si sono sviluppate secondo i consueti canoni investigativi: intercettazioni telefoniche ed ambientali, pedinamenti e appostamenti che hanno permesso, in taluni casi, di riscontrare l’attività di spaccio posta in essere dagli indagati. Complessa è stata l’attività investigativa della Polizia Giudiziaria che ha dovuto svolgere parte delle indagini in contesti ambientali difficili come nel quartiere di San Vito, diventata piazza di “spaccio” .
