Chiamata come teste dalla difesa, la madre della bimba di otto anni racconta anche della vasca riabilitativa, piccola come una vasca da bagno, dove l’acqua arriva all’ombelico di un adulto. Ma a raccontarlo è sempre la figlia
COSENZA – Ritorna in aula il caso Esposito, il bambino di 4 anni deceduto il 2 luglio del 2014 nel suo primo giorno al “Kinder garden”, nella piscina comunale di Campagnano a Cosenza. Imputati Carmine Manna in qualità di legale rappresentante di Cogeis (Consorzio che gestisce la piscina comunale cittadina) e Franca Manna, Luana Coscarella, Ilaria Bove, Martina Gallo. Carmine Manna è accusato di avere omesso «di adottare tutte le necessarie ed idonee misure di sicurezza al fine di scongiurare sinistri nei confronti di terzi, consentendo a minori iscritti al corso Kinder Garden di effettuare attività in una piscina fisioterapica non avente quindi i requisiti tecnici e funzionali tali da essere adibita allo svolgimento di giochi per bambini». A difenderlo l’avvocato Marcello Manna e Concetta Coscarella. A rappresentare la parte civile, i genitori di Giancarlo e i familiari, gli avvocati Francesco Chiaia e Ugo Ledonne. Ad essere sentita come teste la madre di una bambina di otto anni che il giorno della tragedia, tornata a casa insieme alla sorella, ha raccontato di aver visto il bambino muoversi . A porre le domande il collegio difensivo di Manna.
Il racconto della bimba di otto anni; a parlare la madre
Mia figlia si trovava vicino la vasca dei bambini perché svolgevano a turno l’entrata in piscina essendo tanti bambini. Per cui era ad una distanza tale da raccontarmi tutto in maniera molto particolare. Ripeto mia figlia mi ha detto che il bimbo era nelle braccia di Luana e poi in un tempo breve che non sa definire è stato sollevato nell’immediatezza da Luana, è stato portato fuori, è stato dato l’allarme, sono stati prestati i primi soccorsi. Poi c’era una persona che non sa dirmi se era tra i genitori o lo staff della piscina che era un dottore e ha prestato i soccorsi finché non è arrivata l’ambulanza. Mia figlia dice che vedeva muoversi il bambino. Entrambe le figlie, però una era più lontana dalla scena, al ritorno al casa è stata una delle prime cose che mi hanno raccontato, non sono andata a prenderle io, è andato mio padre. Era il primo giorno che il bambino era arrivato in piscina e non lo conoscevano. Ormai si era creata una familiarità tra i bambini, erano più o meno gli stessi gruppi che si facevano. E’ stata un’esigenza dei ragazzi di raccontarmi l’evento
La visita della piscina
La difesa di Carmine Manna chiede se la teste in qualità di mamma abbia visitato la piscina prima di iscrivere la figlia e se può descrivere la vasca. «La definirei una vasca da bagno. Una piscina molto piccola un adulto l’acqua non arriva oltre il bacino. E’ di dimensioni molto ristrette. Tant’è vero che svolgevano le loro attività in piscina a turno». Ha risposto ancora alle domande della difesa sui rapporti con gli istruttori imputati nel processo. «Il giorno dopo noi eravamo in piscina. Mia figlia ha un rapporto molto familiare con gli insegnanti tanto è vero che, per come riportato nei racconti, li chiamano per nome: Luana, zia Franca, zio Francesco.
Le attività svolte in piscina
La fase di accoglienza i ragazzi venivano adeguatamente preparati, i costumi, la crema per le scottature; venivano fatte una serie di attività ludiche o prima o dopo l’entrata nella vasca perché ovviamente l’entrata in vasca era a turno. C’era un momento in cui si faceva colazione, conversazione, si leggeva. Hanno fatto di tutto. Non passavano tutto il tempo nella vasca.
Le domande della pubblica accusa
Le domande degli avvocati di parte civile
Alle domande degli avvocati Chiaia e Ledonne se sapesse quanti bambini c’erano quel giorno, cosa prevedesse l’organizzazione Kinder Garden in riferimento alla gestione dei bambini, se i bambini venissero divisi per piccoli che sapevano nuotare e piccoli che non sapevano nuotare, maschietti e femminucce la teste ha risposto che non lo sapeva, sapeva solo «ciò che mi raccontavano le ragazze: facevano dei gruppi in funzione dell’età. Non ricordo mia figlia in che gruppo stava. So che davano dei nomi». E sull’inizio del corso Kinder Garden « Portavo mia figlia sempre dopo che finiva la scuola, tra il 15 e il 30 giugno. Tutti gli anni venivano iscritti in piscina» Sulla piscina in cui era stato immerso il piccolo Giancarlo l’avvocato domanda al teste se sa di quale si tratti «No, non lo so. So che ci sono più piscine di diverse dimensioni ma non so le altezze»; Domanda se fosse a conoscenza se tra la piscina riabilitativa e le altre piscine ci fosse un separé, ma il teste ha risposto con un «non ho chiesto». Giancarlo si muoveva – domanda infine uno degli avvocati -, che cosa le ha detto esattamente sua figlia «Le sue uniche parole “si muoveva”». Poteva essere un tremore? «Non sono un medico non posso capire»
I filmati delle videocamere troppo sgranati
Sulla qualità delle immagini «L’unica telecamera che puntava sulla zona della piscina d’interesse era molto sgranata per cui sia per la qualità non proprio ottimale della telecamera numero tre installata sul sito per cui non si riescono a riconoscere volti, però i contenuti ci sono». La difesa poi pone una domanda sulle sagome che si vedono nel video parlando di emergenza processuale: il Ctu della Procura Chianelli in ordine alla qualità delle immagini non riusciva a dare delle indicazioni precise sul numero dei bambini che si vedevano passare, mentre il consulente della parte civile D’Ambrosio invece ha quantificato in modo preciso, dicendo che riusciva a contare 24 sagome.
«Mi sono pure concentrato vista l’importanza del fatto – spiega Calabria -, ma si vedono solo delle ombre e dire 24 non è un dato, per cui non ci si può pronunciare in maniera certa. A me risultano meno di venti le sagome però siccome sono pixel alterati, e parlo da un punto di vista tecnico, e ci sono ombre sulle immagini, non possiamo pronunciarci». Sulla fase dei soccorsi Calabria spiega: «Per quanto si capisce dalle immagini c’è un momento di concitazione. Nei dieci minuti si vedono arrivare i soccorsi. Almeno il tempo lo si può fissare ma non si possono tirare fuori dalle immagini volti specifici. Però si capisce che il soccorso è stato tempestivo».
Anche per la consulenza tecnica informativa gli avvocati di parte civile intervengono con alcune domande; in particolare si soffermano sulle sagome di cui Calabria dichiara di non sapere se il consulente D’Ambrosio, nella sua attività peritale, abbia utilizzato speciali tecniche per dare un volto alle sagome. «Posso dare certezza che sia impossibile all’origine, se l’immagine è sgranata, riuscire ad ottimizzarla». Conferma che una telecamera, la numero 4, era completamente buia e risponde al perché sul monitor le immagini non si vedessero da ben due telecamere addebitando la colpa all’impianto vetusto. Risponde poi all’ultima domanda dichiarando di non essersi mai recato sul posto per prendere visione materialmente delle telecamere, così da constatare e verificare dove erano posizionate le telecamere, cosa potevano riprendere o meno e se ci fossero state telecamere staccate
