COSENZA – Per il decesso di Raimondo Morrone furono indagati otto medici dell’Ospedale di Cosenza.
Si tratta del primario del reparto di Gastroenterologia dell’Annunziata Pietro Leo e dei colleghi Ileana Lupino, Mario Erboso, Pietro Paese, Leofranco Rizzuti, Antonio Sabatino, Rosanna De Marco e Vitaliano Spagnuolo. Inizialmente accusati, in concorso, di aver provocato la morte del 68enne deceduto per shock emorragico a pochi giorni dal ricovero i sanitari furono prosciolti da ogni ipotesi di reato dall’archiviazione chiesta per ben due volte dal pm Paola Izzo e accolta dal gip Livo Cristofano. Il fratello dell’uomo, anch’egli medico, vuole chiarezza sulla vicenda e chiede che il caso venga riaperto. Francesco Morrone ha infatti presentato ieri, attraverso i suoi legali, formale istanza alla Corte di Appello di Catanzaro affinchè si ricominci ad indagare sulla morte del congiunto avvenuta, secondo il professionista oggi in forze in Umbria, per ”una banale ulcera gastrica sanguinate” a cui non sarebbe seguito alcun tipo di intervento chirurgico. La famiglia di Morrone ha inoltre già dichiarato che qualora la richiesta non venisse accolta provvederanno a rivolgersi alla Corte di Giustizia Europea. Secondo i legali di Morrone infatti il decesso avvenuto nel reparto di Gastroenterologia dell’Annunziata nel Luglio 2013 sarebbe attribuibile all’operato dei sanitari. ”Dall’autopsia effettuata – scirvono gli avvocati di Morrone, Vittorio Lombardi e Raffaello Agea – unitamente alle osservazioni medico-legali susseguitesi dai periti incaricati emergerebbero chiari profili di responsabilità legati alle condotte colpose di coloro i quali si sono occupati delle cure del Morrone nel periodo di ricovero precedente il decesso. Contrariamente a quanto affermato dal giudice il quadro clinico del defunto paziente era tutt’alto che ‘altalenante’ bensì precisamente orientato alla patologia che trattata secondo i protocolli sanitari avrebbe certamente evitato l’infausto epilogo”.
