In un’epoca in cui si registra una evidente insensibilità, da parte degli amministratori e dei cittadini ai problemi ambientali causati inquinamento ambientale che minaccia costantemente la salute dell’uomo e dell’ecosistema globale, oggi più che mai si rende assolutamente necessario riaffermare l’importanza della rilevante funzione sociale di recupero e salvaguardia di tutti gli spazi verdi cittadini.
COSENZA – A tutela del patrimonio arboreo dell’area urbana, il Comitato Alberi Verdi, affiancato dall’associazione Giardini di Eva, ha promosso un Convegno dal titolo “Alberi e ambiente, un binomio necessario”, tenutosi nei giorni scorsi a Cosenza e a cui hanno partecipato il botanico Dimitar Uzunov (UNICAL Cosenza), sui benefici degli alberi nelle città, l’architetto Giuseppina Donato (Istituto Nazionale di Bioarchitettura), sulla “Città verde” e il dott. Ferdinando Laghi, (Presidente ISDE Internazionale), sul tema delle “Centrali a biomasse e alberi da bruciare: una scelta ragionevole?”.
Il primo intervento dell’incontro, moderato dalla giornalista Francesca Canino, ha visto la presenza del prof. Uzonov che ha illustrato l’importanza delle funzioni svolte dagli alberi nel nostro ecosistema e i benefici che ne derivano in termini sociali, ambientali ed economici. Dal punto di vista sociale la presenza di un albero, di un bosco o di un giardino contribuiscono a sviluppare un forte legame tra la gente e gli alberi stessi, reso ancora più evidente quando avviene che semplici cittadini si mobilitino per salvare dall’abbattimento gli alberi che risultino di ostacolo a lavori di ampliamento di strade strade o di cementificazione di spazi urbani. La loro altezza, forza e resistenza li rendono simili alle cattedrali e, grazie alla loro longevità, sono spesso considerati dei monumenti viventi da preservare e conservare.
L’architetto Giuseppina Donato è intervenuta successivamente sulla funzione del verde nel paesaggio antropizzato di oggi, in città, nelle periferie urbane e nelle aree agricole. Partendo dal mito del Prometeo si giunge alla conclusione che il genere umano non può conservarsi senza la natura e senza sviluppare le capacità di vivere insieme in armonia. Bisogna perciò, sottolinea l’architetto Donato, prendersi cura della natura rispettandola e non depredandola. Già nell’antica cultura contadina di un tempo era presente il concetto di sostenibilità, che si traduceva in un prendere legato necessariamente a un ridare. Per questo i nostri contadini non coglievano mai tutti i frutti ma lasciavano sulla pianta o negli orti quello che poteva costituire il cibo per gli animali o il concime per le coltivazioni future. Città e insediamenti umani non devono, quindi, contribuire a distruggere la natura poiché una città senza paesaggio è come un neonato a cui si toglie il latte e gli si impedisce di vivere. Il paesaggio e la città sono la materializzazione fisica del corpo sociale e se tutti si astenessero dal danneggiare questo corpo le devastazioni odierne apparirebbero assai meno gravi.
L’importanza, anche sociale, di rivalutare il concetto di verde urbano
È stato accertato da tempo che l’inquinamento atmosferico (particolato, polveri fini e ultra fini) è una causa di alcune patologie dell’apparato respiratorio, di malattie cardiache e dell’insorgere di alcuni tumori, senza trascurare il fatto che tale situazione può anche instaurare una predisposizione genetica alle malattie croniche e degenerative per le generazioni future. Anche l’albero, che tanti benefici apporta alla salute dell’uomo, può rappresentare un serio pericolo se inserito in processi di combustione e di produzione energetica “lineari”, che hanno, cioè, un inizio e una fine e una conseguente produzione di sostanze tossiche e pericolose scorie finali. In questo modo anche l’albero rischia di diventare un nemico se aggredito dall’attività umana. Partendo da queste considerazioni, Laghi introduce il discorso delle centrali a biomasse, che, per definizione, dovrebbero essere piccoli insediamenti finalizzati alla combustione dei residui di lavorazione degli scarti dell’agricoltura e della forestazione o di piantagioni dedicate. Una piccola centrale, di conseguenza, dovrebbe produrre poca energia con approvvigionamento locale e ristretto.
Allora, si chiede Laghi, perché dobbiamo rifiutare il funzionamento di una centrale così concepita?
Per diverse ragioni. La prima è che per poter produrre l’eccessiva quantità di energia prevista (ben al di sopra del fabbisogno energetico regionale) vi è bisogno di una quantità enorme di biomassa necessaria al suo funzionamento (circa 350,000 tonnellate l’anno) da reperirsi sul territorio dell’intera Unione Europea, con il rischio, tra l’altro, di “importazione” di specie alloctone e di possibile contaminazione da pesticidi, rischiose per l’integrità della biodiversità del Parco e per la salute delle popolazioni residenti.
Questa Centrale, poi, funziona con delle autorizzazione scadute e con proroghe della Regione Calabria, impugnate dalle associazione ambientaliste del territorio (Forum Stefano Gioia delle Associazioni e Comitati calabresi e lucani per la tutela della Legalità e del Territorio). Ulteriori aspetti criticabili sono legati alla mancanza di un serio studio microclimatico della Valle del Mercure (l’unico effettuato è stato fatto mutuando i dati di una valle diversa) e l’assenza di una Valutazione d’Impatto sulla Salute (VIS). L’Osservatorio Ambientale costituito dallo stesso Produttore, inoltre, prevede la partecipazione del Parco del Pollino, della Regione Calabria i dei Comuni confinanti interessati ma non del Comitato Scientifico, che svolge una semplice funzione consultiva esterna. Assolutamente da non trascurare, infine, il pericolo delle infiltrazioni criminali che mostrano rilevanti interessi nella produzione energetica.
