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La ‘ndrangheta nelle grandi opere dell’Expo 2014, tredici arresti all’alba

MILANO – L’indagine è diretta dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini.

L’operazione dei carabinieri del Ros è scattata all’alba per l’arresto di tredici persone in Lombardia e Calabria. Gli arresti sono stati eseguiti, su richiesta della Procura distrettuale antimafia di Milano, nelle province di Milano, Como, Monza-Brianza, Vibo Valentia e Reggio Calabria. I 13 indagati sono accusati di associazione di tipo mafioso, detenzione e porto abusivo di armi, intestazione fittizia di beni, reimpiego di denaro di provenienza illecita, abuso d’ufficio, favoreggiamento, minacce e danneggiamento mediante incendio. Al centro delle indagini due gruppi della ‘ndrangheta radicati nel Comasco, con infiltrazioni nel tessuto economico lombardo. Nel mirino degli inquirenti, gli interessi delle cosche in speculazioni immobiliari e in subappalti di grandi opere connesse ad Expo 2015. Gli arrestati nell’operazione portata a termine dai carabinieri, secondo quanto si è saputo, avevano contatti con esponenti del mondo politico, istituzionale, imprenditoriale e bancario da cui ottenevano vantaggi, notizie riservate e finanziamenti. In particolare avevano rapporti con un agente di polizia penitenziaria, un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, un imprenditore immobiliare, attivo anche nel mondo bancario e con dei consiglieri comunali di comuni nel Milanese.

 

I provvedimenti eseguiti in Calabria. A San Costantino, nel vibonese, è stato arrestato Antonio Denami, 34 anni, ritenuto in contatto con la famiglia Galati, originaria del vibonese ma da tempo stanziata a Como. L’uomo è accusato di associazione per delinquere semplice, porto abusivo di armi, minacce e danneggiamenti. Il secondo provvedimento è stato notificato ad un altro vibonese, attualmente detenuto nel carcere di Reggio Calabria per esigenze processuali e già arrestato nell’ambito dell’operazione ‘Infinito’ coordinata dalla Dda di Milano. In manette sono finiti anche quattro “appartenenti” alla famiglia Galati radicata in provincia di Como e che sarebbe espressione in Lombardia della cosca dei Mancuso di  Limbadi (Vv). Tra i presunti ‘ndranghetisti figura, infatti, il presunto boss Antonio Galati, ritenuto il capo dell’organizzazione, padre di Giuseppe Galati e zio di Giuseppe Galati, anche loro destinatari delle misure cautelari come Fortunato Galati.

Ilda Boccassini: ‘Dopo l’operazione Infinito non è cambiato nulla’. E’ la riflessione che il procuratore aggiunto, Ilda Boccassini, ha espresso durante la conferenza stampa in cui sono stati illustrati i risultati del blitz che ha portato all’arresto di 13 persone legate a due clan della ndrangheta operanti in Lombardia: «dopo Infinito (la maxi-inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia), nulla è cambiato. La Boccassini ha affermato che l’operazione di oggi «conferma l’esistenza delle «locali» in Lombardia che hanno un capillare controllo del territorio». Il procuratore ha spiegato poi che un’impresa del boss Giuseppe Galati «ha avuto la certificazione antimafia» per lavorare in due subappalti del valore di 450 mila euro per la Teem, la tangenziale esterna di Milano. Il procuratore capo, Edmondo Bruti Liberati, ha chiarito «ci sarà una segnalazione alla Prefettura che ha già svolto un lavoro imponente per l’Expo». Boccassini ha spiegato che l’impresa riconducibile a Giuseppe Galati è riuscita ad ottenere la certificazione «ordinando che le sue quote nella società passassero ai suoi cognati». L’impresa ha così ottenuto da una azienda di Modena, appaltante per l’opera, due subappalti. Secondo Boccassini, è difficile pensare che «si poteva non sapere a chi si davano quei subappalti». Bruti Liberati inoltre ha spiegato che «i controlli sulle aziende che stanno lavorando sulle opere di Expo o su quelle collegate hanno una estensione enorme e la prefettura ha emesso già una sessantina di misure interdittive nei confronti di aziende, facendo un lavoro imponente». Riguardo a questo caso specifico, ha aggiunto Bruti, «trasmetteremo gli atti alla prefettura».

 

Tra gli arrestati nell’operazione anche un ex consigliere del Comune di Rho (Milano), Luigi Calogero Addisi, accusato di riciclaggio e abuso d’ufficio con l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa. Avrebbe riciclato denaro per l’acquisto di un terreno nella zona di Rho per poi votare a favore in Consiglio comunale della destinazione d’uso che ne avrebbe aumentato il valore. Addisi, eletto con il PD alle amministrative nel 2011 e anche parente della famiglia Mancuso, si era dimesso nei mesi scorsi, dopo che il suo nome era già emerso nell’inchiesta della primavera scorsa sulla presenza della ‘ndrangheta a Lecco e nella zona del lago di Como. Dalle carte di quell’indagine, infatti, era saltato fuori che il consigliere comunale di Lecco, Ernesto Palermo, finito in carcere lo scorso 2 aprile, si sarebbe offerto di mettere a “disposizione” di Mariolina Moioli, ex assessore del Comune di Milano, il ”proprio bacino elettorale e quello di altri politici in collegamento con famiglie calabresi” come Antonio Oliverio, ex assessore provinciale di Milano e Luigi Calogero Addisi. Secondo l’accusa, Addisi – che è stato anche in Forza Italia e alle politiche del 2006 candidato nella lista dell’Udeur – avrebbe riciclato parte del denaro della cosca Galati per l’acquisto di un terreno a Lucernate di Rho per poi votare a favore in Consiglio comunale della destinazione d’uso che ne avrebbe aumentato il valore. Su di lui l’attenzione degli investigatori del Ros si è incentrata quando, in un controllo nell’abitazione di Pantaleone Mancuso, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Limbadi (Vibo Valentia), erano stati trovati proprio Addisi e due fratelli della moglie di Addisi, nipoti di Pantaleone Mancuso, ai vertici della cosca ‘ndranghetista.

 

 

(VIDEO DEI CARABINIERI DEL ROS)- L’uso della minaccia esplicita “ti sparo in testa” in conversazioni telefoniche è rarissimo. In questo caso i carabinieri del Ros di Milano sono riusciti a registrare una conversazione che inchioda i protagonisti. Non a caso uno dei due interlocutori, evidentemente consapevole del rischio di essere intercettato, chiude la telefonata affermando “io di queste cose non parlo al telefono”.

 

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