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Critica la sua azienda su Facebook e viene licenziata: giudici riconoscono irregolarità del licenziamento

La Corte di Cassazione ha accolto le argomentazioni difensive degli avvocati della CGIL di Cosenza, ribadendo il diritto di critica e di manifestazione del pensiero.

 

COSENZA – La storia di una donna, la signora Antonella Bevilacqua, licenziata per avere postato su Facebook alcune frasi di critica verso l’operato dell’azienda presso la quale lavorava e dell’amministratore della stessa. Oggi la Corte di Cassazione riconosce l’illegittimità del licenziamento, decisione che era già stata adottata dalla Corte di Appello di Catanzaro. La particolare vicenda della donna, viene raccontata dagli Avvocati Giancarlo Grandinetti e Andrea Amatruda della CGIL di Cosenza, che l’hanno seguita passo per passo.

“La Signora Antonella Bevilacqua, destinataria di un provvedimento di licenziamento per avere postato su Facebook alcune frasi di critica verso l’operato dell’azienda presso la quale lavorava e dell’amministratore della stessa, impugnava la risoluzione del rapporto di lavoro (ex legge n. 92/2012), presso il competente Tribunale di Cosenza – sezione Lavoro. Il Tribunale riconosceva l’illegittimità della decisione aziendale ed il diritto della lavoratrice alla reintegrazione nel posto di lavoro precedentemente occupato, condannando l’azienda anche al pagamento di un’indennità risarcitoria, commisurata all’ultima retribuzione globale della lavoratrice, calcolata dal giorno del licenziamento e fino a quello di reintegra.

A seguito dell’opposizione proposta dal datore di lavoro, il Giudice adito dichiarava tuttavia fondato il suo allontanamento dall’azienda. Avverso tale sentenza la lavoratrice proponeva reclamo. I Giudici d’Appello fornivano una diversa valutazione dei fatti contestati, dichiarando l’illegittimità del licenziamento e confermando la condanna al risarcimento del danno, oltre al versamento di ulteriori 15 mensilità retributive a titolo di indennità sostitutiva della reintegra. Sul ricorso promosso dal datore di lavoro, la Corte di Cassazione ha finalmente messo la parola fine, respingendo tutti gli otto motivi e confermando la decisione dei Giudici di secondo grado. Dinanzi alla Suprema Corte, le ragioni della lavoratrice sono state sostenute dagli Avvocati Giancarlo Grandinetti e Andrea Amatruda della CGIL di Cosenza, i quali hanno posto in evidenza non solo i profili di irregolarità formale del provvedimento di licenziamento, ma hanno anche sottolineato le (inesistenti) ragioni giuridiche che avrebbero dovuto sorreggere la risoluzione.

Con la conferma del provvedimento reintegratorio, la Corte di Cassazione ha accolto le argomentazioni difensive e ha sostanzialmente ribadito il diritto di critica e di manifestazione del pensiero (ove esercitato senza travalicare i limiti posti dalle norme non contrasta con l’art. 2105 del Codice Civile). Non può, pertanto, costituire giusta causa di licenziamento in quanto non lesivo in maniera immediata ed irreparabile del rapporto fiduciario fra datore di lavoro e lavoratore; anzi la libertà di manifestazione del pensiero, che rappresenta un vero e proprio baluardo costituzionale, non entra mai in conflitto con l’obbligo di fedeltà nei confronti del datore di lavoro, per come sancito dal citato articolo di legge.

La CGIL ha espresso viva soddisfazione per l’esito della controversia – poiché la vicenda può certamente annoverarsi tra gli esempi di applicazione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori – ma anche grande rammarico. Dopo più di 40 anni di applicazione, infatti, a seguito della sua abolizione con il Jobs Act, i licenziamenti illegittimi ed ingiustificati dei lavoratori, assunti dopo il 7 marzo 2015 in aziende con più di 15 dipendenti, non saranno più sanzionati con la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno, ma con un modesto indennizzo proporzionato all’anzianità di servizio, con la sola eccezione di quelli palesemente discriminatori. Motivo di più perché la CGIL continui la sua battaglia in favore dell’approvazione da parte del Parlamento della Carta dei Diritti Universali del Lavoro, ovvero il Nuovo Statuto delle Lavoratrici e dei Lavoratori, così da rendere i diritti ancora più esigibili ed inclusivi per tutti i lavoratori, anche per quelli che la Legge 300 del 1970 non poteva aver preso in considerazione, ma che sono stati il frutto della precarietà e della crisi che hanno contraddistinto gli ultimi decenni e che devono tornare al centro dell’attenzione della politica nel nostro Paese.”

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