COSENZA – In cinque anni volatilizzati 14 milioni di euro e 770 posti di lavoro.
Un’ecatombe che si riflette sulla flotta calabrese con una diminuzione di 110 battelli in mare e la perdita di un volume di mercato che ammonta a 2.540 tonnellate in meno di pesce da vendere sui banchi. Con oltre 700 chilometri di costa, ubicata in una delle aree più pescose del Mediterraneo, la Calabria non riesce ad imporsi nel settore della pesca nè conquistandone la leadership, nè rendendosi competitiva. Anzi. La pesca calabrese, secondo i dati divulgati da Lega Pesca, pare sia ad un passo dal baratro stretta tra la morsa dei divieti europei, dell’aumento di carburante e dall’inquinamento. La filiera ittica calabrese conta, ad oggi, circa 5mila occupati. Partendo da Bagnara, dove la messa al bando delle spadare ha creato una vera e propria emergenza sociale in una località cui sostentamento si basa proprio nella pesca del pescespada, le restrizioni da parte dell’Unione Europea stanno arrecando notevoli danni economici al mercato ittico calabrese.
L’interdizione di pesche tradizionali come il bianchetto, il rossetto e il cicerello, il limite fissato per la pesca dei tonni rossi con le quote dei piccoli pescatori vendute alle grandi aziende del settore, con i pescherecci giapponesi che pescano a pochi chilometri di distanza, le flotte siciliane e campane che assediano le coste sia tirreniche che joniche della Calabria, i prezzi del carburante alle stelle, la sopravvivenza dei pescatori è sempre più a rischio. Se poi si aggiungono i 40mila euro di incentivi per chi abbandona il settore, si evince come la pesca artigianale, potenziale volano per l’economia calabrese attraverso il commercio di prodotti di alta qualità, sia stata completamente ignorata. A tutto ciò si aggiungono i divieti di pesca causa inquinamento. Un fenomeno che riguarda soprattutto l’area antistante la zona industriale di Crotone e la foce del fiume Neto dove a tutela della salute pubblica, anche se non se ne conoscono ancora i motivi, il Comune ha disposto il veto alla pesca e alla balneazione.
“Altri inquinano e noi paghiamo” urlano i pescatori. Ma qualcosa per evitare il tracollo definitivo della pesca calabrese si può ancora fare. “Bisogna innanzitutto dichiarare lo stato di crisi del settore, – afferma Martilotti responsabile regionale di Lega Pesca Calabria – lo deve fare la Regione attivando anche gli strumenti di cui già dispone ovvero i Gruppi di Azione Costiera, l’Osservatorio Regionale Pesca, i fondi europei. Sarebbe poi auspicabile la promozione di un marchio regionale: Pesce Trasparente di Calabria, che possa rappresentare una garanzia di qualità e un escamotage per il rilancio del pescato ‘made in Calabria’. Nel periodo 2007-2013 su 70 milioni che sono stati stanziati dall’Europa per la pesca in Calabria, l’Italia ne ha restituito, nel complesso, 22 milioni con gli operatori del settore alla gogna. E’ inammissibile. Non possiamo permettercelo”.
