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Turni usuranti e stress in ospedale causano danni alla salute: la sentenza storica della Cassazione

Italia

Turni usuranti e stress in ospedale causano danni alla salute: la sentenza storica della Cassazione

La sentenza n. 26923/2025 ha riconosciuto la responsabilità di un’azienda sanitaria per la morte di un anestesista colpito da infarto dopo quasi sedici ore consecutive di lavoro

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COSENZA – I medici ed il personale sanitario in Italia vivono una situazione lavorativa sempre più difficile. Carenza di personale, turni usuranti e salari che non sono proporzionati all’impegno e alla responsabilità che ogni giorno sono chiamati a ricoprire in corsia. Una situazione che prova sempre di più chi lavora in ospedale, continuamente sottoposto a stress lavorativo che si può trasformare in veri e propri problemi di salute che a volte portano anche alla morte.

Non una casualità ma un nesso diretto quello tra stress lavorativo, causato da turni usuranti in ospedale, e danni alla salute che finalmente viene circoscritto e definito grazie ad una recentissima sentenza della Cassazione (ordinanza n. 26923 del 2025) che ha stabilito che è l’azienda sanitaria a dover adottare tutte le misure necessarie per evitare che si verifichi un danno di salute per i propri dipendenti. In caso contrario l’azione della stessa azienda sanitaria andrebbe in contrasto con l’articolo 2087 del codice civile, che impone al datore di lavoro di “ tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

La vicenda di un anestesista morto dopo un turno di 16 ore di lavoro

È in questi termini che la sentenza n. 26923/2025 della Corte di Cassazione ha riconosciuto la responsabilità di un’azienda sanitaria per la morte di un anestesista colpito da infarto dopo quasi sedici ore consecutive di lavoro.

La morte del medico era stata riconosciuta per “causa di servizio”, motivo che aveva spinto gli eredi a chiedere, in primo grado e alla Corte di Appello, di accertare l’attuazione delle misure di salvaguardia dell’integrità psico-fisica del dipendente in capo all’azienda sanitaria.

La Corte territoriale aveva respinto l’impugnazione spiegando che l’anestesista aveva svolto 23 giorni di riposo e non era in servizio nei giorni antecedenti la sua morte. Nel ricorso in cassazione, gli eredi, invece, avevamo spiegato che la Corte di appello non aveva preso in considerazione che pochi giorni prima dell’infarto il medico aveva lavorato in turni che andavano oltre “l’orario massimo di dodici ore continuative”, situazione per la quale l’azienda ospedaliera non aveva adottato nessuna misura per evitare il danno. Tesi accolta dai giudici che hanno emanano la sentenza.

Stress in ospedale e danni alla salute, UGL Salute: “Vittoria di civiltà”

Un vero e proprio “punto di svolta nel riconoscimento dei diritti e della dignità dei professionisti della sanità. – specifica in una nota Gianluca Giuliano, segretario nazionale della UGL Salute commentando la storica decisione della Suprema Corte – È una vittoria di civiltà, un atto di giustizia e verità che non può restare isolato.”

“Da anni denunciamo l’insostenibilità dei turni massacranti che gravano pesantemente su medici, infermieri e operatori sanitari, costretti a sopperire a croniche carenze di organico e a un’organizzazione del lavoro che troppo spesso ignora i limiti umani e professionali. – aggiunge Giuliano – Questa sentenza sancisce un principio fondamentale: una volta accertato il nesso tra stress lavorativo e danno alla salute, è il datore di lavoro a dover dimostrare di aver adottato tutte le misure preventive, come previsto dall’articolo 2087 del Codice Civile.”

Non si può più morire di lavoro, tantomeno in corsia. La sicurezza dei pazienti passa anche dalla tutela della salute di chi li cura. È ora che le aziende sanitarie e le Regioni si assumano la responsabilità di garantire turni sostenibili, organici adeguati e una reale prevenzione dello stress lavoro-correlato. La UGL Salute – conclude Giuliano – chiede alle istituzioni la piena applicazione delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Questa sentenza non è solo un punto d’arrivo, ma un monito: nessun lavoratore deve più essere lasciato solo davanti all’usura di un sistema che chiede troppo e restituisce troppo poco”.

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