COSENZA – Mezzogiorno. Una pattuglia dei Vigili urbani sbarra l’accesso a corso Telesio. Percorrendo la strada che costeggia il fiume, si raggiunge uno slargo adibito a parcheggio con le strisce blu che però ha tutta l’aria d’essere abusivo. Le monete infatti finiscono in tasca del ragazzo che ha appena smesso di imprecare contro un sacerdote di pelle nera: “La macchina devi sistemarla meglio, così occupa troppo spazio”. Nome italiano e origini congolesi, don Giampiero è parroco di Cleto: “Il vescovo Nolè non ha mai fatto distinzioni tra noi sacerdoti, ci ha amato tutti allo stesso modo”. Sul sagrato del duomo, due operai montano un maxischermo. All’ingresso, un manifesto funebre annuncia che a Potenza sarà celebrata una seconda messa esequiale.
Filomena Nolè, sorella minore di Francesco, ha un sorriso dolce e un rammarico nel cuore: “Mio fratello aveva la mascherina dell’ossigeno e questo mi ha impedito di comprendere le ultime parole che ha pronunciato. Forse stava soltanto pregando”. Chissà cosa mi vengono a fare, domandava il presule a Filomena, ogni volta che i medici del Gemelli entravano nella stanza d’ospedale. E mentre gli aspiravano con una siringa il liquido presente nell’addome, lei gli stringeva forte forte le mani in modo da lenire il dolore lancinante della puntura. Monsignor Nolè non si radeva ormai da qualche giorno. Sua sorella lo prendeva in giro, così per farlo ridere un po’: “Tagliati questa barba, sembri un frate cappuccino e tu invece sei un francescano!”.
La corona di gigli bianchi, donata dalla Casa circondariale Sergio Cosmai, è accanto al gonfalone della città di Cosenza. Don Tullio Scarcello, parroco emerito di Pedace e canonico della cattedrale, non ha dubbi: “Ha rinnovato la nostra diocesi. Forte e controcorrente, ha dimostrato grande coraggio decidendo di spostare i sacerdoti da una parrocchia all’altra”. Il decreto che disciplina i trasferimenti è entrato in vigore sabato 17 settembre, due giorni dopo la morte. Nolè lo aveva firmato dal suo letto d’ospedale.
Rosina Rocca, perpetua di monsignor Nolè, recita il Rosario davanti al microfono sistemato sull’altare. Ha un nodo in gola che di continuo le spezza la voce: di tanto in tanto, è costretta a fermarsi. Al termine della preghiera ricorda: “Il primo giorno che lo vidi rimasi impressionata dalla sua altezza, ma presto capii che era un uomo buono. Se lo chiamavo Eccellenza, si faceva subito una gran risata. A tavola, non aveva grosse pretese, il suo piatto preferito erano gli spaghetti al pomodoro. Di sera, la televisione rimaneva quasi sempre spenta perché preferiva raccontare storie e aneddoti del passato. Parlava molto della famiglia che viveva in Basilicata e che portava sempre nel cuore. Adesso che non c’è più, mi sento come se avessi perso un padre”.
Poi, piccola com’è, sprofonda tra le braccia di fra Sergio Tropea, parroco della chiesa San Francesco alla Verna di Lorica dove il padre arcivescovo era arrivato per trascorrere un periodo di riposo. Fra Sergio ha vissuto da vicino la sofferenza di Nolè. “I primi giorni sono passati tranquilli. Gli avevo fatto trovare un bastone di legno realizzato con le mie mani e lui lo usava per appoggiarsi durante le lunghe passeggiate che si concedeva in paese, confondendosi tra gli abitanti del posto. In seguito però ha iniziato a stare male. A causa del liquido concentrato nell’addome, faceva fatica finanche ad abbottonarsi la camicia. Il giorno di ferragosto, mi sono dovuto allontanare perché era in programma la tradizionale processione e il padre arcivescovo è rimasto da solo in chiesa. Quando sono tornato, ho scoperto che aveva celebrato la messa con trentotto di febbre. La sera, gli ho preparato la pastina col formaggino. Il giorno dopo è rimasto tutto il tempo a letto. Nel pomeriggio gli ho portato una tisana al finocchietto. Il 17 agosto ha lasciato Lorica per trasferirsi qualche giorno al mare, ospite delle suore del convento di Cetraro. Ci siamo incontrati di nuovo una settimana dopo e mi è sembrato che stesse meglio. Quella purtroppo è stata l’ultima volta che l’ho visto. Qualche giorno dopo, ho chiesto a monsignor Savino, che era andato a trovarlo a Roma, di aggiornarmi sulle sue condizioni di salute e il vescovo di Cassano mi ha risposto che purtroppo la situazione si era aggravata”.
Don Pasquale Panaro sistema con cura la mitra vescovile appoggiata sulla bara di noce chiaro. Fu monsignor Nolè a consacrarlo sacerdote e, dopo soltanto due giorni, lo scelse come suo segretario personale. Nell’ambiente ecclesiastico la gestione della malattia dell’arcivescovo dev’essere stata oggetto di critiche se don Pasquale s’affretta a precisare: “Non è vero che si è trascurato. Appena le sue condizioni sono peggiorate, lo abbiamo subito ricoverato a Roma. Aveva la speranza di tornare. E’ rimasto lucido fino a mezz’ora prima che spirasse e non smetteva di ringraziare i medici che lo avevano in cura. Il principale insegnamento che mi lascia è che bisogna avere la pazienza che sia Dio a intervenire nelle scelte umane, senza cercare di imporre la propria volontà”.
Suor Iva è partita da Bisignano. Abito bianco e copricapo nero, appartiene all’ordine delle piccole operaie del sacro cuore: “Mi ha stimata dal primo momento. Conserverò la dolcezza e l’umiltà che lo contraddistinguevano”. Monsignor Donato Oliverio, vescovo di Lungro, sussurra: “Sempre vicino alla nostra Eparchia. Un’anima bella che ha vissuto tra la gente. Partecipo con dolore a questo evento inaspettato”.
Salvatore Nunnari cammina a fatica: “E’ stata una guida saggia e un padre buono, amante dei poveri perché lui stesso è rimasto povero. Non ha mai usato cose che lo potessero appesantire. Perdo un amabile amico. Concluso il mio episcopato, nonostante avessi già una dimora pronta ad accogliermi a Reggio Calabria, mi disse ‘Devi rimanere a Cosenza accanto a me”. Il predecessore di Nolè si avvicina a Filomena che lo accoglie con affetto e gli dice: “Eccellenza, non dimenticherò mai le lacrime che l’altra sera ha versato al cospetto di mio fratello”.
Pochi minuti dopo, la celebrazione liturgica ha inizio. Don Gianni Citrigno esordisce con queste parole: “Abbiamo pregato tanto che tu potessi tornare, ma nell’anno giubilare che hai voluto per questa cattedrale, Gesù ti ha chiamato sulla croce. Grazie – continua il vicario generale del duomo – per averci fatto respirare l’aria fresca del francescanesimo. Ora vengano le allodole a roteare sulla tua bara”. Nell’aria si diffonde l’odore dell’incenso e un familiare di Nolè chiede a un vigile del fuoco che è di picchetto lì vicino se per caso abbia voglia di sedersi un po’ al posto suo.
Francesco Savino, vescovo di Cassano, pronuncia frasi di gratitudine: “Grazie per l’amore mite, delicato e attento che hai sempre avuto nei confronti di noi vescovi”. In attesa che la Santa sede nomini il successore del compianto presule, la diocesi di Cosenza-Bisignano sarà amministrata da monsignor Giuseppe Piemontese: “Quando l’ho sentito al telefono, ho usato nei suoi confronti un tono deciso e gli ho chiesto ‘Cosa aspetti a farti ricoverare?’. Per tutta risposta, ha architettato un grande scherzo facendomi venire qui al posto suo. All’inizio non volevo, ma poi il nunzio apostolico ha insistito ‘Se non ci vai tu che eri suo amico, chi ci dovrebbe andare?’ e ho accettato”.
L’omelia è affidata a monsignor Salvatore Ligorio: “Il giorno in cui si apriva la camera ardente, la famiglia francescana commemorava le stimmate di Francesco che si rifugia alla Verna. Un Francesco povero che dice al Padre ‘Non come voglio io, ma come vuoi tu’. La Chiesa di Cosenza-Bisignano – continua il vescovo di Potenza – sente la mancanza del suo pastore, oggi però non è più povera ma più ricca. Ha infatti una preziosa testimonianza da custodire, perché il suo amato arcivescovo è stato messo alla prova ed è stato trovato pronto. Arrivederci, padre Francesco“.
Il coro diretto da don Serafino Bianco, parroco di Rogliano, intona l’ultimo canto solenne mentre la bara del vescovo Nolè si congeda dalla cattedrale tra due ali commosse di fedeli. Il carro funebre sfila davanti alla sede della Curia. Nolè saluta per l’ultima volta quella che, negli ultimi anni, è stata casa sua. Ci sarà tempo poi per raccogliere gli effetti personali rimasti nell’appartamento episcopale. La Polizia di Cosenza scorta il feretro fino al confine tra Calabria e Basilicata, dov’è prevista la staffetta con i colleghi di Potenza. Frate Francesco riabbraccia la terra natia. Mamma Lucia, che due giorni fa ha compiuto 97 anni, non sa ancora che quel figlio tanto amato è salito in cielo ed è ormai tra le braccia di Dio.